Scuola: una finestra sull’inclusione a Dakar
La scuola per tutti di Rufisque
Diol Kadd è un paesino della savana a circa tre ore di auto da Dakar, la capitale del Senegal. Siamo venuti qui da Parma grazie al Cuci (Centro universitario di cooperazione internazionale) per conoscere le necessità della locale scuola elementare, quattro lunghi edifici rettangolari a un piano che si fronteggiano e da cui escono ed entrano decine di bambine e bambini incuriositi dalla presenza di noi toubab. Gli edifici hanno il tetto di lamiera bucato, i banchi di legno sono consumati dall’usura e, pur essendo un piano terra, per arrivare in classe si devono scalare tre alti gradini di cemento che sono impegnativi anche per una persona adulta, figuriamoci se venisse a scuola un bambino in carrozzina. E tutt’intorno per chilometri e chilometri ci sono solo capanne, casette di mattoni e soprattutto la savana, con la sua sabbia, gli arbusti, i baobab e i kadd (una specie di acacia). Guardando solo da questa prospettiva sembrerebbe che parlare di inclusione scolastica in Senegal sia un qualcosa di azzardato, ma questa sensazione si scontra con una realtà diversa che rompe molte delle idee e dei pregiudizi che abbiamo sull’Africa.
Il Senegal è un Paese grande due terzi l’Italia, abitato da circa 16 milioni di abitanti, situato nell’Africa occidentale, nel Sahel, visto che è solo in Casamance, nella sua parte più meridionale, che si trasforma nell’Africa verde e rigogliosa che tutti hanno in mente. La popolazione è giovane (l’età media è di 18,5 anni) e solo il 51,9% della popolazione sopra i 15 anni sa leggere e scrivere (dati del 2017). Anche se l’indice di sviluppo è molto basso paragonato a quello occidentale, la stabilità politica sta permettendo uno sviluppo rapido. Il Senegal ha ratificato fin dal 2010 la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità e ha leggi specifiche che regolano il tema. La più importante è la Los (legge sull’orientamento sociale), sempre del 2010, che parla direttamente del diritto all’inclusione a scuola degli alunni con disabilità in contesti normali, ovvero assieme agli altri. Questo fatto non è così scontato se si pensa che il Senegal culturalmente è molto influenzato dalla Francia, Paese dove l’inclusione dei bambini con disabilità passa ancora, per lo più, attraverso le scuole speciali, a differenza dell’Italia che propone invece un modello più radicale. Se si aggiunge a questa normativa quella che prevede, fin dal 2004, l’istruzione obbligatoria e gratuita per i minori dai 6 ai 16 anni, abbiamo alcuni motivi per cui l’Italia ha un certo ascendente sul tema dell’inclusione scolastica nel Paese africano.
Nel triennio 2018-2020 il ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale ha finanziato il progetto “Fare Scuola”, indirizzato a migliorare la scolarizzazione dei bambini disabili. Più recentemente ha finanziato il progetto “Deecliq” che ha lo scopo di migliorare l’offerta di istruzione inclusiva lavorando a più livelli: sulla formazione dei futuri docenti, sulla sensibilizzazione della comunità, sulla presa di coscienza delle famiglie. All’interno del progetto è previsto un master online, organizzato da Fastef (la facoltà di Scienze e tecnologia dell’educazione di Dakar) e il Centro universitario cooperazione internazionale di Parma, rivolto ai futuri insegnanti non solo del Senegal ma di tutta l’area francofona africana.
Anche se ci sono buone leggi e persone motivate, fare inclusione scolastica in Senegal si scontra con una serie di limiti. Il grado di benessere della popolazione è lontanissimo non dico dall’Italia di oggi, ma anche da quella della fine degli anni Settanta, quando nel nostro Paese si iniziò a fare questo tipo di esperienza. La mancanza di risorse si riflette sugli edifici scolastici, sull’organizzazione scolastica, sul grado di formazione degli insegnanti. Come dice Veronique Lepigre della ong Acra, capofila del progetto “Deecliq”: "Un insegnante con 60 bambini in classe non può occuparsi dei bisogni speciali di un singolo bambino. Poi c’è il problema della loro formazione, c’è un blocco culturale, alcuni insegnanti non sono favorevoli ad accogliere un bambino disabile in classe". Anche Saliou Sene, ispettore del ministero dell’Educazione, afferma che "i bambini con disabilità incontrano molti ostacoli a scuola e nella società. L’inclusione è resa difficile dalle barriere costituite dalla comunicazione, dalle infrastrutture, anche dagli strumenti pedagogici degli insegnanti. Le leggi ci sono, il problema sono le rappresentazioni sociali dell’handicap in Senegal, questo vale sia per gli insegnanti che per la gente comune".
Nonostante queste contraddizioni l’inclusione in Senegal, o per lo meno a Dakar e nelle altri grandi città, perché in campagna il discorso si fa più difficile, va avanti. Procedendo in modo coraggioso e anche originale. Magatte Gadje è il direttore di una grande scuola elementare nel dipartimento di Pikine, una vasta area periferica di più di un milione di abitanti a est del centro di Dakar. Dirige una scuola inclusiva raggiungibile solo su strade di terra battuta e le classi, gremite di bambini, contengono solo cose essenziali e per lo più consunte. "Le direttive ministeriali dicono di includere al massimo cinque bambini non vedenti per classe. E noi lo abbiamo fatto. Abbiamo anche appeso dei cartelli in Braille per indicare i vari spazi, mentre a livello della comunità abbiamo fatto un’opera di sensibilizzazione sul tema dell’inclusione scolastica"».
(L’articolo è tratto dal numero di maggio di SuperAbile INAIL, il mensile dell’Inail sui temi della disabilità)