31 gennaio 2019 ore: 15:18
Immigrazione

Sea Watch. Siracusa no, Catania sì: ecco i motivi della scelta del Viminale

Sea Watch non ha potuto sbarcare a Siracusa. Motivi logistici è la spiegazione ufficiale. Ma fino al 2017 il porto di Augusta è stato il più utilizzato d'Europa. L'ex Procuratore Capo della città: “Ong? Nessuna attività illegale e collegamento con i trafficanti”. Lo scontro con Catania e il magistrato Zuccaro

MILANO – I 47 migranti soccorsi dalla Sea Watch 3 il 19 gennaio sono arrivati al porto di Catania. Per i minorenni a bordo verrà nominato un tutore legale mentre i maggiorenni sono destinati all'hotspot di Messina, in attesa di essere collocati nei diversi Paesi europei che hanno accettato di accoglierne una quota. È stato al Viminale a indicare Catania come luogo di approdo e sbarco invece di Siracusa-Augusta, dove l'imbarcazione della ong tedesca si trovava da cinque giorni in attesa di indicazioni. Perché? Il motivo ufficiale è logistico: ad Augusta non c'è più l'hotspot e questo avrebbe reso complicato le operazioni, nonostante la Prefettura avesse già organizzato il piano per il trasferimento in pullman dei migranti. Eppure nemmeno a Catania c'è l'hotspot.

Per anni il porto di Augusta è stato il più utilizzato di Europa per gli sbarchi dei naufraghi soccorsi nel Mediterraneo. Al 31 dicembre 2016 sono arrivati sulle coste siracusane ben 105.698 persone, ha raccontato il 2 maggio 2017 l'ex procuratore capo di Siracusa, Francesco Paolo Giordano (oggi in forza proprio a Catania), durante l'audizione nella commissione Difesa al Senato volta a indagare il fenomeno del controllo italiano dei flussi migratori, delle frontiere marittime e il ruolo delle organizzazioni non governative. Un ruolo che è andato crescendo nel tempo: “Se nel 2015 queste costituivano il 12,6 per cento degli sbarchi, tale percentuale è salita infatti a 14,3 per cento nel 2016 ed al 28,1 per cento nel 2017” ha raccontato Giordano. Oltre 100mila persone, solo due anni fa, suddivise in 742 sbarchi che hanno portato all'arresto di 740 scafisti e l'individuazione di 80 imbarcazioni. Numeri che sono cresciuti fino a 1.084 sbarchi per 128.569 migranti assistiti e il sequestro di 219 imbarcazioni oltre arresto di 1.051 persone. Merito di un nucleo di polizia giudiziaria che è stato chiuso a dicembre 2018: il gruppo interforze di contrasto all'immigrazione clandestina, coordinato dal sostituto commissario Carlo Parini, nato nel 2006, ben prima dei grandi flussi, con lo scopo di coordinarsi con Ministero dell'interno e Direzione centrale dell'immigrazione, grazie al coinvolgimento di 8 magistrati all'epoca (a fronte dei 13 previsti dalla pianta organica) e allo scambio informativo e operativo fra Polizia, Marina militare, Guardia di finanza, Forestale, Carabinieri. Un nucleo formato per indagare su reati specifici: gli articoli 12 e 13 del testo unico sull'immigrazione (favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e reingresso del migrante espulso) mentre venivano destinato agli altri servizi di polizia giudiziaria la repressione di illeciti come le estorsioni o gli omicidi volontari.

“La procura ha continuato ad attenersi ad una impostazione garantista facente perno sull'articolo 10-bis del testo unico sull'immigrazione – ha raccontato il magistrato in Senato – esaminando le fonti di prova orali con l'assistenza del difensore e considerando le persone interrogate indagate di reato in procedimento connesso” invece che persone informate sui fatti, quindi senza alcune tutele, “come vorrebbe un recente orientamento giurisprudenziale non ancora pienamente consolidato”. Inoltre Giordano ha citato “il massiccio ricorso a riti alternativi, come il patteggiamento, che spesso portano alla scarcerazione e all'espulsione dello scafista. L'attività investigativa compiuta non è comunque inutile in quanto consente di identificare il criminale anche al fine di eventuali recidive. Non sono invece perseguiti i cosiddetti 'scafisti occasionali' ossia coloro che si trovano a dover governare il natante per puro stato di necessità”.  

“Il comandante della Sea Watch non ha commesso alcun reato e non è stata neppure presa in considerazione al momento l’ipotesi di un eventuale sequestro della nave” ha detto qualche giorno fa l'attuale procuratore capo di Siracusa Fabio Scavone, sostenendo che il comandante della nave non ha forzato alcuna norma e si è comportato in linea con quanto previsto dalla legge. Una tesi che non sempre è stata condivisa dai suoi colleghi in Sicilia. I quali – da Trapani a Palermo, da Ragusa a Catania – periodicamente aprono inchieste sugli uomini delle ong. Anche due anni fa, dopo l'audizione di Francesco Paolo Giordano alla commissione Difesa, si è parlato sulla stampa di “scontro” con la Procura di Catania. Uno scontro in parte gonfiato e non del tutto realistico, perché le giurisdizioni fra Siracusa e Catania non si sarebbero comunque sovrapposte e nemmeno le diverse funzioni che spettano a una procura ordinaria e a quella distrettuale, come Catania. Ma allo stesso tempo Giordano ha usato parole chiare rispetto a quanto in quei mesi andava dicendo il dottor Carmelo Zuccaro, reggente dell'ufficio giudiziario etneo, che adesso ha in mano il dossier su Sea Watch dopo l'assist del governo e del ministro dell'Interno, Matteo Salvini: “Assenza di evidenze investigative che provino lo svolgimento di attività illegale da parte di associazioni non governative” dichiara Giordano a Palazzo Madama, specificando che “sull'attività di ricerca e soccorso in mare condotta dalle organizzazioni non governative, alla Procura non risulta alcuna evidenza in ordine ad asseriti collegamenti tra queste ultime e i trafficanti di esseri umani”. Ma anche che non era abitudine della suo ufficio ricevere “elementi conoscitivi dai Servizi di informazione”, come i servizi segreti o l'intelligence che Zuccaro sosteneva essere la sua fonte primaria. “Semmai sono questi ultimi a fornirli alla polizia giudiziaria” rende più chiaro il concetto. Parlando delle ong Giordano nota che “la reticenza di alcune organizzazioni non governative a fornire informazioni agli organismi istituzionali può essere meglio spiegata in base alla missione di esclusiva tutela del migrante contenuta nella missione, che le porta spesso a diffidare degli organismi di polizia giudiziaria per ragioni 'ideologiche'”.

Il senatore Alicata (Forza Italia-Pdl) gli domanda se è possibile che sulle navi dell'organizzazione maltese Moas (oggi inattiva nel Mediterraneo) fossero presenti apparati di spionaggio elettronico sulle predette navi. In quelle settimane si stanno diffondendo una serie di notizie, mai dimostrate, sul fatto che Moas fosse in realtà una copertura di alcuni servizi d'intelligence stranieri (maltesi e americani, viene detto da fonti anonime ad alcuni giornali) per operare nel Mediterraneo centrale e raccogliere informazioni. Risposta del giudice: “Non risulta alcuna evidenza in ordine ad apparati di spionaggio elettronico” anche se gli uffici da lui diretti non hanno mai ispezionato i natanti in questione perché al di fuori del mandato istituzionale”. (Francesco Floris)

 

 

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