Sempre più difficile chiedere asilo a Roma. Aumentano i "casi Dublino"
Foto: Eleonora Camilli/Rs |
ROMA - Oltre duemila persone seguite dall’autunno scorso ad oggi, 332 cittadini stranieri presi in carico tra quelli transitati nella Capitale da aprile a settembre, 139 persone che hanno chiesto di aderire al programma di relocation (di cui 81 già trasferiti in altri stati europei), un impegno complessivo per operatori e mediatori di 156 ore. Sono questi soltanto alcuni dei dati del report della Rete legale per i migranti in transito a Roma, formata da A buon diritto, Baobab experience, Consiglio italiano per i rifugiati (Cir) e Radicali italiani. Il rapporto è stato presentato oggi a piazzale Maslax, lo spazio dietro la stazione Tiburtina allestito dai volontari e gli attivisti di Baobab experience, dove attualmente vivono 120 persone, provenienti da diversi paesi: Mali, Sudan, Ghana, Eritrea, Siria.
“Il 6 dicembre per noi è una data importante – sottolinea Andrea Costa, coordinatore di Baobab experience –il 6 dicembre di due anni fa siamo stati sgomberati definitivamente dagli edifici di via Cupa. Subito dopo, nella difficile trattativa con l’amministrazione Tronca, chiedemmo di poter mantenere un presidio fuori da quello che era il Baobab, per parlare con i migranti e fornire informazioni. Aveva un senso e lo ha anche oggi. A Roma tuttora manca un hub di prima accoglienza: un luogo dove ci siano mediatori linguistici e culturali, operatori legali e sanitari. Un luogo in cui il migrante possa andare a chiedere come fare per avere i documenti o portare avanti la procedura di richiesta di protezione”. Costa ha ricordato che sono stati in tutto 20 gli sgomberi subiti negli ultimi due anni dai volontari: “ora qui, dietro la stazione Tiburtina, siamo meno visibili e forse per questo non ci vengono a sgomberare. Quello che è certo è che ci siamo e continueremo a esserci fino all’ultimo migrante. E con noi continua la solidarietà e la generosità di tanti cittadini romani che ci permettono di offrire 3 pasti al giorno”.
Foto: Eleonora Camilli/Rs |
Secondo i dati raccolti dal team legale nell’ultimo periodo sono in aumento a Roma i cosiddetti “dublinanti”, coloro cioè che arrivati in Italia come primo paese di approdo, hanno continuato il viaggio verso altri stati europei, ma una volta varcata la frontiera sono stati rimandati indietro perché qui avevano lasciato le loro impronte. “Anche se non siamo ai numero del 2015, qui vediamo tutti i giorni persone che arrivano a Roma con l’intento di bucare le frontiere – sottolinea Giovanna Cavallo - . Quello facciamo come operatori è fornire tutte le informazioni necessarie per prevenire le criticità. Allo stesso tempo accompagniamo nell’accesso alla procedura di protezione le persone che ce lo chiedono. I nostri operatori sono qui tre volte a settimana”. Delle 322 persone prese in carico da aprile a settembre, l’82 per cento sono eritrei e somali e hanno applicato per la relocation. “Abbiamo notato che molte persone, arrivate a Roma dalla Sicilia, non erano state informate della possibilità di aderire al programma – aggiunge Cavallo- . Siamo riusciti a far partire da qui 80 persone che ne avevano diritto, altre sono in attesa che la procedura venga conclusa”.
Nel report la Rete legale per imigranti in transito denuncia, inoltre, le difficoltà dell’accesso alla domanda di protezione internazionale nell’ufficio immigrazione della Questura di Roma di via Patini. “Ormai la prassi è quella di accogliere solo 20 domande al giorno – spiega Francesco Portoghese di A buon diritto -. Ci sono persone che passano la notte davanti all’ingresso della Questura per poter accedere allo sportello la mattina presto. Ormai vengono accolte venti domande al giorno. Ma ciò che ci preoccupa nell'ultimo periodo è che per fare domanda di protezione venga richiesto il passaporto. In alternativa si chiede la denuncia di furto o smarrimento, ma tale obbligo non è previsto a livello normativo. Considerando che molti ne sono sprovvisti, questo atteggiamento della Questura nei fatti limita ingiustificatamente il diritto di chiedere protezione”. Tra i casi più recenti seguiti dalla Rete c'è quello di un cittadino egiziano, che ha provato per 3 volte a fare domanda a via Patini. Sprovvisto di passaporto è andato in commissariato per denunciarne lo smarrimento, ma da qui è stato condotto in questura, dove ha ricevuto un decreto di espulsione.
Foto: Eleonora Camilli/Rs |
Oltre alle difficoltà legali ci sono anche quelle sanitarie. Oltre alle difficoltà legali ci sono anche quelle sanitarie. Il team di Medu (Medici per i diritti umani) nel corso di un anno di attività, da dicembre 2016 a novembre 2017, ha visitato 868 persone effettuando 1.524 visite, nel corso di 124 uscite serali in tre insediamenti precari della capitale: Piazzale Maslax, la stazione Termini e un edificio occupato nella zona di Tor Cervara. La maggior parte dei pazienti sono migranti forzati di sesso maschile (93 per cento), con un’età compresa tra i 18 e i 30 anni (68 per cento) e nella maggior parte dei casi erano arrivati in Italia da pochi mesi o addirittura da poche settimane (il 44 per cento da meno di un mese). Nel corso delle visite effettuate Medu ha riscontrato un dato allarmante che riguarda l’elevato numero di vittime di torture e maltrattamenti: oltre l’80 per cento delle persone visitate ha dichiarato, infatti, di aver subito torture, abusi, gravi privazioni, violenze sessuali, riduzione in schiavitù, per lo più in luoghi di detenzione formali o informali in Libia. Di tali trattamenti sono stati vittime anche 17 dei 47 minori non accompagnati visitati.
Il team della clinica mobile ha fornito informazioni a 1.283 pazienti ma - sottolinea l'organizzazione - l’accesso alle cure, sul totale dei pazienti visitati, in transito o presenti stabilmente nel nostro Paese, rimane un miraggio: circa l'80 per cento delle persone ne rimane di fatto escluso per mancanza di informazioni, ostacoli linguistici o culturali, scarsa fruibilità dei servizi e inadeguatezza e disomogeneità dei servizi di informazione e orientamento presenti presso i centri di accoglienza. “Nonostante i numerosi impegni presi dalle istituzioni nei momenti di crisi – sottolinea Medu- ad oggi, non si può constatare altro che un grave e colpevole vuoto di risposte concrete, stabili e coerenti all’ormai pluriennale “questione” dell’accoglienza e della tutela dei diritti fondamentali dei migranti in transito e delle persone più vulnerabili che attraversano la nostra città”. (ec)
. (ec)