Servizio civile universale, Corte Costituzionale respinge ricorsi Veneto e Lombardia
ROMA - Nel Decreto legislativo 40/2017, che attua la riforma del Servizio Civile Universale (SCU), “non vi è alcuna lesione” delle competenze regionali. È quanto ha stabilito la Corte Costituzionale con la sentenza n. 171/2018 depositata per la pubblicazione In Gazzetta Ufficiale il 20 luglio, che ha dichiarato così “non fondate le questioni di legittimità costituzionale” sollevate a giugno dello scorso anno dalle regioni Veneto e Lombardia. La Suprema Corte è entrata nel merito dei due ricorsi anche al di là del Decreto correttivo 43/2018 dello scorso 5 maggio, emanato proprio per correggere ed integrare il D. Lgs. 40/2017.
Secondo infatti l’estensore della Sentenza, Giuliano Amato, “tali modifiche non possono ritenersi idonee a determinare la cessazione della materia del contendere”. Le due regioni contestavano in primo luogo l’art. 4 (comma 4) del Decreto, che riguarda la realizzazione dei Programmi triennali e annuali, e l’art. 5 (comma 5) sulla presentazione dei Programmi di intervento, perché le modalità in essi previste per il loro coinvolgimento sarebbero state “lesive del riparto di competenze delineato dalla Costituzione e del principio di leale collaborazione”. Inoltre, secondo la Regione Veneto sarebbe stato illegittimo anche l’art. 7 (comma l, lettera d), riferito alla possibilità per le Regioni di attuare “programmi di servizio civile universale con risorse proprie […], previa approvazione della Presidenza del Consiglio dei ministri” perché “l’approvazione si concretizzerebbe in una sorta di controllo preventivo (o al limite di vigilanza) da esercitare su soggetti autonomi, quali le Regioni, relativamente a funzioni di competenza propria”.
Per entrambe le regioni ricorrenti è assodato “che il servizio civile sia sorto quale forma di difesa non armata dello Stato, alternativa del servizio militare di leva, quando questo rappresentava un dovere civile obbligatorio per il cittadino ai sensi dell’art. 52 Cost.” ma anche che “il legame dell’istituto del servizio civile con la difesa dello Stato si sarebbe attenuato con la sospensione della leva obbligatoria”. L’Avvocatura dello Stato, nella sua memoria difensiva, ha puntato a dimostrare l’inammissibilità dei ricorsi delle due Regioni, ricordando come uno degli obiettivi del Governo nell’impostazione della riforma del servizio civile universale fosse stato proprio quello di superare le criticità manifestatesi nei rapporti tra Stato centrale e Regioni/P.A. con un nuovo “modello organizzativo, con la previsione di una programmazione unitaria e coordinata degli interventi, sebbene aperta al contributo delle autonomie locali, nonché di un unico sistema di valutazione, monitoraggio e controllo, in grado di assicurare omogeneità di trattamento e d’intervento su tutto il erritorio nazionale”.
La Corte Costituzionale, nella sua sentenza di infondatezza dei ricorsi di Veneto e Lombardia, arrivata dopo il deposito di successivi documenti lo scorso aprile, ha ribadito ancora una volta che “l’art. 52 Cost. configura la difesa della Patria come sacro dovere, che ha un’estensione più ampia dell’obbligo di prestare servizio militare. Si tratta di un dovere che si collega intimamente e indissolubilmente all’appartenenza alla comunità nazionale e trascende lo stesso dovere del servizio militare. Da ciò derivano, pertanto, la possibilità e l’utilità di adempiere ad esso anche attraverso adeguate attività di impegno sociale non armato (sentenza n. 164 del 1985)”.
Sempre per la Suprema Corte “il legame tra gli artt. 52 e 2 Cost., riconosciuto anche dalle parti ricorrenti, costituiva una caratteristica del servizio civile già quando lo stesso era disciplinato quale alternativa alla leva obbligatoria. La sospensione di quest’ultima, pur configurando ora tale servizio quale frutto di una scelta volontaria, non muta né la natura, né le finalità dell’istituto. La volontarietà, che caratterizza ormai lo stesso servizio militare, riguarda, d’altronde, solo la scelta iniziale, in quanto il rapporto è poi definito da una dettagliata disciplina dei diritti e dei doveri, ‘che permette di configurare il servizio civile come autonomo istituto giuridico in cui prevale la dimensione pubblica, oggettiva e organizzativa’”.
Pertanto “la disciplina del servizio civile nazionale, anche di quello di natura volontaria, non può che rientrare nella competenza statale prevista dall’art. 117” della Costituzione e quindi “nella potestà esclusiva dello Stato rientrano gli aspetti organizzativi e procedurali del servizio, mentre quelli concernenti i vari settori materiali restano soggetti alla disciplina dettata dall’ente rispettivamente competente (sentenze n.431 del 2005 e n. 228 del 2004)”. “Dunque – sancisce la Sentenza - , in virtù dell’ascrizione della disciplina alla competenza esclusiva statale, non vi è alcuna lesione del riparto costituzionale di competenze” delle due Regioni.
Il giudice Amato ricorda anche come “il legislatore statale, tenuto conto che il principio di leale collaborazione permea l’ordinamento nel suo complesso […], ha comunque previsto varie forme di partecipazione delle Regioni. Il d.lgs. n. 40 del 2017, infatti, stabilisce un coinvolgimento regionale su tutti gli aspetti della programmazione, ivi compresi gli standard dei programmi e dei progetti, sia nella fase di predisposizione dei piani, sia in quella di approvazione degli stessi”. “Si tratta di strumenti di partecipazione adeguati e rispettosi del principio di leale collaborazione (tra l’altro ulteriormente rafforzati in seguito alle modifiche di cui al d.lgs. n. 43 del 2018)”, chiarisce la Sentenza.
Sulla Sentenza non si è ancora pronunciato il Sottosegretario con delega, on. Vincenzo Spadafora, mentre “soddisfazione” è stata espressa dall’ex Sottosegretario delegato, Luigi Bobba, che è stato tra gli estensori della legge Delega 106/2016 e del D. Lgs. 40/2017. “La riforma del Servizio civile universale, parte integrante della riforma del Terzo settore – ha dichiarato -, esce rafforzata dalla sentenza che riconosce in modo limpido che il sacro dovere di difendere la Patria (art. 52) si può adempiere anche attraverso il servizio civile. E che tale scelta rafforza l'appartenenza dei giovani alla comunità nazionale attraverso un impegno sociale non armato”. “Lo Stato – ha aggiunto - ha il dovere di programmare, coordinare e controllare in maniera unitaria la realizzazione del servizio civile non invadendo per nulla in tal modo le competenze delle Regioni. Allo stesso tempo, seguendo il principio di leale collaborazione tra le istituzioni, lo Stato favorisce l'azione di quelle Regioni che intendono promuovere progetti di servizio civile sul loro territorio e mettono a disposizione risorse proprie. Non c’è pertanto nessuna contrapposizione”.
"Ora che la normativa è del tutto chiara, il Governo proceda ad emanare subito il bando per 50.000 giovani; a pubblicare il bando per gli enti che intendono presentare progetti per il 2019 e a trovare circa 300 milioni nella prossima legge di bilancio. Solo così si potrà dare, anche nel prossimo anno, la possibilità a 58.000 giovani di scegliere volontariamente di fare servizio civile”, ha proseguito Bobba. “Sono orgoglioso, come Sottosegretario delegato al servizio civile nei governi Renzi e Gentiloni, di aver lavorato a questa riforma e di aver fatto crescere il numero dei posti da poche migliaia nel 2014 a 58.000 per questo 2018. A Salvini, che propone il servizio civile obbligatorio per tutti, dico che sarebbe già un gran bel risultato se intanto mettessero in moto la macchina e destinassero adeguate risorse. Il cambiamento non è negli annunci ma si misura sui fatti”, ha concluso nella sua nota. (FSp)