Sgomberi: palazzi vuoti da milioni di euro, una ferita dentro Milano
MILANO - “Gli abitanti del quartiere sono felicissimi di riavervi qui”. Firmato: Giuliana. Un pezzo di carta bianca appeso alla cancellata, la scrittura in stampatello tremolante e un messaggio banale. Che però rompe la narrazione: quella per cui gli italiani vorrebbero solo, e sopratutto, sicurezza e ordine. Non è l'unico: “Scusate, lo scrivo qui perché sono stati nostri vicini di casa per diversi anni – posta Simona sulla pagina facebook di quartiere –. Ma a me lo sgombero di 'Aldo dice 26x1' ha lasciato l'amaro in bocca. Lo so benissimo che le occupazioni sono illegali e che anche con tempi biblici l'epilogo è sempre lo sgombero. Spero solo che adesso che sono sotto l'occhio dei media nazionali ottengano una sede (magari sempre qui vicino!) per i loro progetti”. E sotto al post diversi commenti: c'è chi ha paura del futuro che toccherà ora all'edificio di via Oglio 8, quartiere Corvetto, studentato abbandonato prima di finire i lavori e che nell'ultimo anno e mezzo ha ospitato decine di famiglie in emergenza abitativa all'interno del progetto sociale “Aldo dice 26x1”. Dopo un periodo di tregua con prefettura e amministrazioni pubbliche durato oltre un anno, nell'ultima settimana “Aldo dice” è stato cacciato per ben due volte: prima con la minaccia del taglio della corrente (che avverrà nel pomeriggio del 6 settembre con tanto di consegna chiavi alla vicesindaco di Milano Anna Scavuzzo); e una seconda volta dagli uffici ex Alitalia abbandonati dal 2010 a Sesto San Giovanni. Uno sgombero con forza pubblica deciso in meno di 48 ore, su pressioni della politica locale e del Viminale. Ora si sono appropriati di un altro “scatolone” in cemento e vetro abbandonato a Milano: la Torre Ligresti, nord ovest del capoluogo.
Cosa rimane di questi palazzoni abbandonati? Vania, per esempio, teme “che lo stabile tornerà ad essere covo di spacciatori e disperati”. C'è chi spiega la situazione delle persone che dormivano e vivevano all'interno interrogandosi sul futuro: “Si tratta di famiglie sfrattate, che hanno perso il lavoro o fanno lavoretti poco retribuiti – scrive Annafranca –. Poi si può essere in forze quanto si vuole ma la ricerca del lavoro non è proprio una passeggiata e spesso si finisce con una velocità incredibile sul lastrico e sulla strada!”. C'è chi si oppone a questa visione del mondo: per Rosalba “pagando l'affitto di posti ne trovano”. E infine chi non ha molta dimestichezza con normative e burocrazia: “È abbandonato da anni e il proprietario è bello che fallito – scrive un'altra abitante del quartiere – Penso che proprio il comune dovrebbe fare qualcosa, tipo "nazionalizzare" (!!) lo stabile; ma non sono una giurista, e non so se esista una legge che lo consenta. visto il proliferare di opere iniziate e mai finite (vedi anche l'altro pensionato all'angolo tra via Mincio e piazza Ferrara), temo che una legge simile non esista. forse più che il comune dovrebbe intervenire lo Stato”.
La mano pubblica, in realtà, è già intervenuta molto tempo fa: il terreno era di un'immobiliare domiciliata alla Camera del Lavoro di Milano; l'edificio è stato costruito con il co-finanziamento di Regione Lombardia da 1,2 milioni di euro per realizzare 9 piani di convitto, 151 posti letto e 72 posti auto. Negli anni si sono avvicendate imprese edili, cooperative e consorzi finiti in acque troppo mosse: un debito da sei milioni di euro legato all'area e la liquidazione coatta del consorzio di cooperative “Virgilio” che stava effettuando i lavori all'interno. Con tanto di commissario nominato dal Ministero dello sviluppo economico nel 2014: il dottor Stefano Bignamini che voleva vendere l'immobile all'asta già entro 2015. Non ci è riuscito. Due periti hanno stimato il valore dell'immobile in 7 milioni e 151mila euro, a cui vanno detratti 1,7 milioni per completare iter amministrativo e rendere agibile lo stabile. Cifra complessiva per aggiudicarselo 5 milioni e 455mila euro. Le aste vanno deserte. Fino al 28 giugno 2018, quando una cordata di tre imprenditori si aggiudica il convitto per 3 milioni e 273mila euro. Ora resta da vedere quando e se partiranno i lavori o se il destino di via Oglio è ancora una volta quello di tornare a essere un “covo di spacciatori e disperati” come scriveva la signora.
Quale futuro, invece, per i palazzi Alitalia di Sesto San Giovanni sgomberati martedì 4 settembre dagli occupanti, ma già una prima volta nel giugno 2016? Incerto, a dire poco. Finiti nella “bad company” della privatizzazione Alitalia del 2008 e nella procedura di amministrazione straordinaria della società Alitalia Servizi S.p.A., sono abbandonati da allora. Nella mani di tre commissari straordinari: i professori e avvocati Stefano Ambrosini, Gianluca Brancadoro e Giovanni Fiori. Che già il 4 giugno 2012 hanno dato avvio alla procedura di vendita per la cessione dell'immobile. Due lotti diversi, stimati in un valore base di 3 milioni e 60mila euro il primo, e 8 milioni di euro il secondo. “Abbiamo già contattato l'amministrazione straordinaria della società. Nei prossimi giorni avremo un incontro per definire il futuro dell'edificio” ha detto a Il Giorno Antonio Lamiranda, assessore all'urbanistica della ex Stalingrado d'Italia, oggi amministrata dal centrodestra. E ha aggiunto: “Ci hanno detto che degli studi di fattibilità erano già stati richiesti dalla passata amministrazione, che poi aveva fatto cadere l’argomento. Riprenderemo il discorso da questi documenti, chiedendo ad Alitalia quali sono le loro intenzioni. Noi qualche idea l’abbiamo”. Dalla pubblicazione del bando da parte dei commissari straordinari per la cessione degli immobili al prezzo più alto sono passati già sei anni. Solo l'amministrazione straordinaria di Alitalia ha per le mani immobili per un valore complessivo di 62 milioni di euro fra Milano, Roma e Fiumicino. Vuoti, da anni. (Francesco Floris)