Sicilia, i braccianti agricoli stranieri: ''Qui la schiavitù esiste ancora''
PALERMO – Campobello di Mazara, Vittoria, Cassibile, Alcamo sono i luoghi dove i braccianti agricoli stranieri effettuano il loro “tour agricolo” subendo condizioni di vita spesso ‘inumane’ allo scopo di racimolare pochi euro e di avere, quindi, la possibilità di pagarsi un biglietto per andare via dalla Sicilia o dall’Italia. E’ una vita dura quella di questi migranti che vivono senza accoglienza, senza diritti, con poca luce e tante ombre riuscendo tuttavia a tenere in piedi l’economia agricola siciliana che senza di loro crollerebbe.
Di questo si è parlato nel corso dell’incontro ieri pomeriggio promosso dal comitato antirazzista Cobas e Arci Malausséne Palermo con l’intento di riflettere insieme per unire più forze sociali impegnate a sostegno dei migranti e per garantire almeno i loro diritti essenziali. “Solo se uniamo tutte le nostre forze possiamo, attraverso un accurato lavoro di rete, stimolare le istituzioni a garantire umanità e dignità a queste persone che tengono in piedi la nostra economia agricola – afferma Fausta Ferruzza di Cobas Antirazzista Palermo -. Occorre muoversi a più livelli per riconoscere almeno i diritti essenziali ad una casa e ad un lavoro che non sia sfruttamento e prevaricazione dei più forti sui più deboli”.
A parlare delle condizioni di vita dei migranti sono i rappresentanti del Collettivo Libertarea, dell’Associazione Senegalese Sicilia Occidentale, di Arci Sankara Messina e di Alcamo Bene Comune. “Quello che abbiamo visto nella tendopoli di Campobello di Mazara è ai limiti dell’indicibile – racconta Giuseppe Di Stefano del Collettivo Libertaria -. Dopo due mesi di lotta per il diritto all'accoglienza, siamo riusciti almeno a fare arrivare l’acqua nel campo dove i migranti vivono in mezzo alle zecche e alle lastre di eternit. Chiediamo almeno che venga bonificata l’area per evitare che queste persone si ammalino”. “Siamo persone che rischiano la vita per avere un lavoro in Italia – incalza Michael Diop dell’associazione Senegalese Sicilia occidentale -. In Italia molti miei connazionali hanno trovato solo delle trappole. Nessuno può denunciare le condizioni di lavoro perché tutti hanno paura di perdere quel poco che sono riusciti ad avere. La denuncia diventa un auto-denuncia perché inevitabilmente si ripercuote su di te. La schiavitù nella storia è già finita da tempo ma a Campobello di Mazara esiste ancora. Se chi lavora non è in regola è solo colpa dei padroni italiani e del governo italiano che non fa niente”.
“A Vittoria non ci sono situazioni di sfruttamento stagionale dei migranti ma di condizioni lavorative poco tutelate di stranieri stanziali emersi e sommersi – dice Giuliana Sanò ricercatrice di Arci Sankara Messina -. I tunisini hanno un lavoro regolare diversa è la situazione dei rumeni che sono comunitari. Lo sfruttamento sistematico del lavoro a giornate è cronicizzato sotto molti aspetti. Lavorano quasi tutti saltuariamente e nella gran parte dei casi senza alcun contratto e, quando questi ci sono, sono in forma grigia nel senso che c’è una parziale dichiarazione delle ore dichiarate. Una scappatoia da tutto ciò potrebbe essere quello di tutelarli a livello sindacale ponendo fine a quella che è ‘la compravendita degli pseudo-contratti di lavoro per avere il permesso di soggiorno’. Le campagne, in particolare, sono popolate da cittadini rumeni, uomini e donne, isolati dalle città e socialmente più vulnerabili da tutti i punti di vista. Siamo complessivamente davanti ad un sistema economico di gestione informale dei rapporti in cui molte cose sono inevitabilmente sommerse”.
“L’esperienza di Alcamo è, invece, finora, stata diversa – sottolinea Anna Zinnanti di Alcamo Bene Comune - perchè dopo il vuoto degli due anni precedenti, siamo riusciti quest’anno a fare aprire un centro di accoglienza che ha accolto 112 migranti stranieri e poi un parcheggio sotterraneo che ne ha ospitati altri 90. Non abbiamo numeri su chi di queste persone abbia realmente lavorato sui campi per la vendemmia stagionale ma possiamo dire che la macchina organizzativa comunale ha avuto il coraggio di confrontarsi con noi e ha saputo accogliere i migranti in una forma più umana possibile”. (set)