Sicurezza sul lavoro, “serve una prospettiva di genere”
ROMA – “In ambito lavorativo, nonostante i progressi fatti verso il raggiungimento dell'uguaglianza formale fra i generi, l'obiettivo dell'uguaglianza sostanziale rimane ancora lontano, non solo per quanto riguarda l'accesso al mercato del lavoro, ma anche rispetto alla sicurezza e alla tutela della salute delle donne lavoratrici”: è quanto ha dichiarato Silvana Amati, componente della commissione per la Tutela e la promozione dei diritti umani del Senato, intervenendo oggi alla presentazione dell’indagine dell’Anmil sulle donne vittime di infortunio sul lavoro o malattia professionale. “A livello nazionale, internazionale e comunitario è ormai considerato indispensabile integrare in tutti gli ambiti una dimensione di genere, che riconosca le specificità di donne e uomini”. E’ quanto è già avvenuto nell’elaborazione di alcune normative in materia, come il Testo unico sulla Salute e la sicurezza sul lavoro (2008), “che – osserva Amati - include l'attenzione alle differenze di genere nella valutazione dei rischi, ma anche i recenti lavori della Commissione Diritti Umani del Senato, di cui sono membro”. Anche nell’aggiornamento del nomenclatore tariffario, oggetto di studio e di discussione, “state ascoltate le testimonianze di due donne colpite da patologie fortemente invalidanti, Alessandra Incoronato e Luisa Panattoni, e della dottoressa Agati, presidente del Centro studi e Ricerca ausili tecnici per persone disabili della Confindustria”. Ora, con il Ddl 55, “elaborato con il fondamentale contributo dell'Anmil ed ora assegnato alla commissione Lavoro del Senato, vogliamo adeguare la tutela per i rischi professionali delle lavoratrici alle specificità di genere. Attualmente, la mancata considerazione delle specificità di genere implica una sottostima delle conseguenze degli infortuni lavorativi, sia dal punto di vista fisico che psicologico”.
Una prospettiva di genere deve essere adottata anche nelle “misure a sostegno del reinserimento professionale”: tra queste, il Ddl prevede “l'introduzione di un'integrazione temporanea alla rendita per la lavoratrice infortunata con figli minori di tre anni, prevalentemente affidati alle cure materne”. Perché l’obiettivo sia raggiunto, “sarà indispensabile costituire un Centro per il monitoraggio della tutela di genere per i rischi professionali, presieduto dalla Consigliera nazionale di parità e all'interno del quale operino rappresentanze del mondo del lavoro e dell'impresa”.
Ora, l’indagine Anmil, che segue la traccia di quella svolta 10 anni fa sullo stesso tema, vuole “dar modo di riflettere su cause e soluzioni riguardanti un tema fra i più inesplorati già nell’immaginario collettivo – ha detto Franco Bettoni, presidente Anmil - quello delle donne che lavorano, in qualsiasi momento della giornata, secondo noi, e che anch’esse si infortunano e si ammalano di patologie proprie del lavoro che svolgono ma anche di quelle dei loro compagni di cui lavavano tute ricche di fibre di amianto. Dieci anni fa – ha ricordato Bettoni - ne è nata la prima indagine svolta su un target assolutamente sconosciuto e da conoscere. Riproponendo questa indagine – ha detto ancora Bettoni - abbiamo scoperto che molto è rimasto uguale, ma non tutto è rimasto uguale: sono sorte nuove opportunità e nuove conoscenze sulle fonti di rischio e danno, soprattutto per le malattie legate, con fili più o meno robusti al lavoro, al mestiere o alla semplice produzione industriale. Anche quest’anno, quindi, abbiamo voluto confermare l’impegno di concretezza scientifica riproponendo le categorie di dati all’epoca utilizzati, con l’ulteriore garanzia del medesimo operatore responsabile. È un primo passaggio, con dati grezzi da meditare e elaborare partendo dalle prime considerazioni riportate più ampiamente di seguito, che già mostrano una sostanziale identità di conclusioni per alcuni temi, rendendo così giustizia al nostro impegno volto in questi dieci anni a rivendicare migliori tutele, ma anche a valorizzare componenti e aspetti meno noti del lavoro femminile con le sue caratteristiche e complessità che si riflettono, poi, su come la persona invalida, in questo caso donna, vive la sua menomazione. E restiamo fermi, nel batterci contro l’ingiustizia di trattare in modo eguale situazioni e persone che eguali non sono”.