Soccorsi in mare, "la battaglia tra la vita e la morte" nei racconti dei medici
MILANO – Dottore, quando riparte? “Siamo a disposizione”. Il dottor Massimo Natalia si è fatto 15 giorni in mare a maggio, altri 20 a luglio, con le unità navali dei corpi militari impegnate nei soccorsi nel Mediterraneo. Ma rimane “a disposizione”. Lo dice con il tono e le parole dei civili che hanno speso tante ore a contatto con i militari. Quelli come lui sono 55 medici, 55 infermieri, altri 44 volontari, divisi in quattro squadre a Lampedusa che servono sulle motovedette della Guardia costiera e della Guardia di Finanza, due team a bordo delle unità navali nel mar Mediterraneo e un medico eliosoccorritore per nucleo di stanza a Catania, con la possibilità di volare h24 nei casi di emergenza. Armati di tenuta per la protezione biologica, mascherina in volto e guanti in lattice, parlano poco di smalto rosso sulle unghie delle donne camerunensi e tanto di protocolli medico-sanitari o procedure Medevac (Medical Evacuation). Loro sono i volontari del Corpo italiano di soccorso dell'Ordine di Malta (Cisom), eredi della tradizione dei “Cavalieri” che 900 anni fa soccorrevano pellegrini e viaggiatori. Nel 2008 i team sanitari del Cisom hanno cominciato le loro attività in mare a largo di Lampedusa. Da allora hanno incrociato lo sguardo e le storie di 160 mila naufraghi, soccorsi e assistiti uno ad uno durante i viaggi, 6 mila solo nella prima metà del 2018. In mezzo passaggi burocratici: collaborazioni con Protezione civile e ministero dell'interno; nel 2013 il progetto Sar Operation (Search and Rescue Operation) finanziato da Viminale e Ue nell'ambito di Mare Nostrum; nel 2016 la nascita del progetto Passim (primissima assistenza sanitaria in mare) che il 2 luglio di quest'anno è diventato Passim 2, finanziato per due anni dal fondo Fami su progetto europeo, guidato dal Ministero della Salute e coordinato dalla Guardia Costiera italiana.
Cambiano le sigle e i finanziamenti, ma la bussola che guida l'azione del Cisom rimane la stessa: strappare alle onde le “vite spezzate – come dicono loro –. Nella convinzione che l'aiuto al prossimo è e rimane una missione di primaria importanza”. Come? “Utilizziamo professionisti con vasta esperienza – racconta il dottor Massimo Natalia, medico soccorritore anestesista, uno dei veterani del Corpo che è stato imbarcato su diverse unità –. Medici rianimatori, medici dell'emergenza, ogni medico che parte fa capo alle linee guida della rianimazione e dell'emergenza e porta le conoscenze che ha acquisito in proprio per quanto riguarda l'approccio al paziente”. Parla di Bls-D (Basic Life Support – Defibrillation) il dottor Natalia, “la base che permette ogni rianimazione”, e di Acls e di Acls-T, acronimi inglesi che stanno per Advanced Cardiac Life Support. “Sono i soccorsi cardiologici e traumatologici avanzati, facciamo dei training ma sono comunque insiti nel bagaglio culturale di ogni medico”.
Quali avversari incontra un dottore sulla pelle dei migranti che attraversano il Mediterraneo? “Le patologie che si riscontrano sono legate alle condizioni della traversate e del trasferimento in mare dei migranti – racconta il volontario del Cisom –. Insolazione, colpi di calore, ustioni da contatto con materiale infiammabile, ferite da arma da fuoco o da coltello”. Mentre per “le persone raccolte in acqua” c'è “la sindrome da annegamento oppure ipotermia sopratutto per chi viene soccorso in inverno”. Quanto si resiste in acqua? “Dipende dalle condizioni di base della persona, se è in grado di nuotare o muoversi autonomamente aumenta di gran lunga il tempo di sopravvivenza, perché l'attività muscolare produce in minimo di energia nel corpo umano” e aggiunge Natalia “abbiamo 'ripescato' persone che stavano in acqua anche da otto ore”. Il vero nemico è l'inverno: “L'ipotermia prende il sopravvento e si aggrava in maniera progressiva e veloce mettendo fuori gioco la funzione cardiaca e vascolare”.
È sul tempo a disposizione e le emergenze che si gioca la battaglia fra vita e morte. Per questo esistono le Medical Evacuation, procedure nate in ambito bellico per “mantenere elevati i livelli di assistenza ai militari impiegati in teatro operativo – si legge in una scheda del Ministero della Difesa dedicata alle Medevac –. Con lo scopo di garantire medicalizzazione sul campo e l'evacuazione dei feriti e infortunati in Italia”. In campo militare le Medevac si dividono in “tattiche” (dal teatro operativo verso un punto di supporto) e “strategiche” (dal punto di supporto verso l'Italia o altra destinazione ritenuta adeguata al tipo di patologia, in relazione alla distanza da percorrere per l'ospedalizzazione definitiva). Ben presto sono diventate procedure appannaggio anche dei civili. “L'ultima l'abbiamo fatta un mese fa, su una donna che ha abortito spontaneamente e dopo complicazioni con la placenta rischiava l'emorragia” spiega Natalia. “Il criterio per stabilire se è necessaria una Medevac o meno – prosegue l'anestesista – si fonda sulle condizioni di base fondamentali: se non sono stabili e non lasciano prevedere disponibilità di tempo bisogna agire”. Esempi? “Una donna ha un'emorragia interna per situazioni traumatologiche oppure le persone con sindrome da annegamento che non riusciamo a stabilizzare e si prevede un peggioramento”. Questi i casi che “portiamo a terra nel minor tempo possibile”. È la stessa differenza che intercorre quando “viene attivata un ambulanza semplice o un'ambulanza medicalizzata”.
Nel 2016 una dottoressa specializzata in geriatria, volontaria del Cisom, Sara Modde, è stata insignita della medaglia di bronzo al merito della Marina. Due anni prima si è offerta di farsi calare da un elicottero con l'ausilio di un verricello, nonostante le condizioni meteo avverse, per un intervento sanitario su un naufrago con problemi respiratori e un arresto cardiaco. Il suo intervento gli ha salvato la vita, permettendone l'evacuazione in elicottero fino a Lampedusa. Ma non tutto è lineare in mare. Ha raccontato la dottoressa che il vero terrore, in quelle situazioni, è decidere chi salvare per primo, perché il protocollo che si applica non è quello degli ospedali, dove il più grave entra subito, ma è come lo scenario di guerra dove il più grave viene lasciato. “A mente lucida so che è giusto ma non so se avrei il coraggio” ha detto. “In campo militare l'evacuazione avviene in base alla possibilità che si ha di recuperare una persona, i casi più gravi vengono lasciati a terra” aggiunge il dottor Natalia facendo eco alla sua collega. “Sarà cinico, ma questo è lo scenario militare”. Mentre “in campo civile ci si regola in maniera diversa” con il problema che “queste persone stanno in mare, situazione in cui è difficile fare una valutazione”. Che regola applica il Cisom? “Ci si rivolge per primi a chi non ha il salvagente e chi è in evidente difficoltà a mantenersi a galla – chiude il medico – fatta questa prima distinzione si dà precedenza a bambini e donne”. L'unica eccezione avviene quando “una persona ha traumi o ferite che sono visibili anche se in acqua e sta perdendo la possibilità di auto sostenersi. È questa la procedura”. (Francesco Floris)