Soccorsi nella neve, l'esperto: ecco come segnalare la propria presenza
Silvio Benedetti, Capo Reparto responsabile operativo dei Saf (Speleo alpino fluviale)
Silvio Benedetti, Capo Reparto responsabile operativo dei Saf (Speleo alpino fluviale) |
AMATRICE - Una tormenta di neve, tre scosse di terremoto nel momento più critico, la valanga dell’hotel Rigopiano, lo schianto dell’elicottero a Campo Felice, decine di migliaia - di famiglie rimaste isolate per giorni senza luce, acqua e riscaldamento, interri paesi e frazioni montane evacuate: il bilancio è altissimo e quello che si è vissuto tra Marche, Abruzzo e Lazio in questo inizio anno appare ‘estremo’ anche ai soccorritori più esperti.
La neve che si sta sciogliendo rivela di ora in ora tutti i danni di un territorio ferito due volte. Ma, al netto delle responsabilità che verranno accertate dalla magistratura per i singoli fatti, cosa si poteva fare di più e, soprattutto, cosa è bene fare adesso per prevenire situazioni del genere? Silvio Benedetti, Capo equipaggio eli-soccorritori dei vigili del fuoco di Roma, opera in emergenza ogni giorno “ma una cosa del genere non ci era mai capitata - commenta -. E l’inverno quest’anno fino a gennaio è stato mite perché sull’appennino e nei paesi che abbiamo soccorso la neve spesso arriva a novembre e va via a marzo”.
Ora, dopo giorni trascorsi a portare in salvo intere famiglie rimaste isolate nei centri montani, gli elisoccorritori lavorano per recuperare animali e portare viveri a chi è rimasto in casa e foraggio nelle stalle che sono rimaste in piedi e agli animali isolati.
Più di 50 persone soccorse dal suo equipaggio, diversi centri evacuati, tantissimi interventi con enormi difficoltà. Il primo problema: avvistare dall’alto le famiglie in difficoltà.
“Uno dei problemi più grossi che abbiamo dovuto affrontare è stato sapere chi c’era e chi no - racconta Silvio Benedetti -. Parti dopo una segnalazione, arrivi sul posto, ma che è più o meno il posto perché dall’alto è tutto bianco: bianco sotto, bianco sopra, nessun riferimento da terra. Speri che qualcuno si affacci per farti un segnale, ma non succede spesso. Scorgi una casa con una luce accesa, scendi dove si può, oppure ti cali dall’elicottero che resta sempre in volo, e percorri lunghi tratti di strada per raggiungere la casa illuminata. Senza camminare, perché con la neve che ti arriva fino al torace non è possibile. Con le ciaspole ci abbiamo provato, ma affondavano pure quelle. L’unica soluzione è quella di galleggiare sulla pancia e nuotare su tutto quel manto aiutandosi con le braccia. Col rischio di imbattersi nel filo spinato degli steccati che in quella situazione riesci a intercettare solo quando ci sei già sopra. Una fatica immensa. Per poi arrivare alla casa, bussare e in diversi casi scoprire che dentro non c’è nessuno perché i residenti hanno lasciato le abitazioni in fretta senza spegnere la luce, probabilmente perché non c’era quando sono andati via. E senza telefono non sono riusciti ad avvertire i familiari. Allora si torna indietro, riprendendo, con le stesse modalità dell’andata, il ‘viaggio’ di ritorno per risalire sull’elicottero e ripartire per un nuovo intervento”. Una enorme perdita di tempo e di energie, in una situazione che richiede soprattutto velocità e prontezza di riflessi.
“Vino rosso sulla neve. Sarebbe bastato quello e avremmo portato in salvo molte più persone in molto meno tempo - racconta il capo equipaggio dei vigili del fuoco -. E’ una procedura semplicissima, che si dovrebbe insegnare a tutti, cominciando dalle scuole. Il vino rosso a contatto con la neve macchia e si incrosta, dandoci il tempo di intercettare dall’alto le persone che hanno bisogno di aiuto. Basterebbe disegnare col vino rosso una grande ‘H’ sulla neve: un piccolo gesto che però per noi è di grandissimo aiuto, soprattutto in quelle condizioni: sono stati interventi oggettivamente difficili, con movimentazione di persone a terra terribile, quantità di interventi enorme, giornate cortissime, condizioni meteo avverse”.
In quasi tre metri di neve soffice non atterrano nemmeno gli elicotteri e i salvataggi si fanno restando in volo. “Abbiamo caricato con l’elicottero in volo moltissime persone - spiega Silvio Benedetti -. Prima le andavamo a prendere a casa e poi, una volta portate sotto l’elicottero, le imbracavamo e le accompagnavamo nella salita col verricello. Percorrere il tratto tra le abitazioni e i mezzi da soli è stato difficile e faticoso per noi che siamo allenati, accompagnare per quel tratto le persone, spesso anziani e bambini, è stata davvero un’impresa. In quei giorni ho scoperto di una avere una forza che non immaginavo. Ma dopo qualche intervento eravamo tutti distrutti”.
Gli anziani montanari: organizzazione, riserve di cibo e legna, la ricetta per sopravvivere all’isolamento. “Le case degli anziani sono quelle in cui le persone hanno patito meno l’isolamento: camini a legna e dispensa piena hanno aiutato molto, anche in assenza di corrente elettrica. La paura del terremoto, quella ha inciso più di tutti nel senso di isolamento. Abbiamo portato viveri a tanti anziani e li abbiamo trovati al caldo. Molto più tranquilli di noi. Abbiamo lavorato soprattutto nella zona tra Amatrice e Campotosto. Abbiamo evacuato Ortolano, la frazione di Campotosto dove è stata trovata una delle prime vittime e da dove abbiamo portato in salvo 24 persone. A Macchia del Sole era impossibile atterrare e abbiamo caricato tutti col verricello. Il triangolo di evacuazione (l’imbracatura che si usa in questi casi) non è adatta per i bambini piccoli, quelli li portiamo in braccio noi. Il modo per tranquillizzarli e convincerli in pochi secondi a salire? Imbracarsi tutti insieme: noi, loro e l’orsacchiotto preferito. Il ricordo più bello? Il salvataggio di un bimbo di 20 giorni e di sua mamma, una ragazza di 21 anni”. (Teresa Valiani)