Soccorsi privati in mare. Moas: "In 20 giorni soccorsi 2 mila migranti"
ROMA – Venti giorni in mare, 2 mila persone salvate. È il bilancio della prima missione portata a termine dalla Phoenix I, l’imbarcazione del progetto Migrant Offshore Aid Station (Moas), un’iniziativa di soccorso di migranti in difficoltà in mare lanciata dai coniugi Catrambone, una famiglia di imprenditori italo-americana residente a Malta. Il Moas è la prima esperienza di soccorso privato nel Canale di Sicilia e il suo lancio ha fatto il giro del mondo, raccogliendo consensi e donazioni. Nei giorni scorsi il primo “pit stop” sull’isola maltese per la Phoenix I, un’imbarcazione dotata di due gommoni e due droni utilizzati per individuare le barche stracolme di migranti in panne. “Nelle prime due settimane in mare la nostra organizzazione ha contribuito al programma Mare Nostrum con il salvataggio di circa 2.000 persone – spiega Regina Catrambone, fondatrice del progetto Moas -. Le persone, le donne e i bambini che abbiamo salvato a bordo di queste navi poco sicure non sono migranti economici. Fuggono dalle guerre, dalla Siria, da Gaza e dalla Libia. La situazione è talmente disperata che alcuni vendono tutti i loro averi per portare le proprie famiglie su queste barche, consapevoli che possono finire come le centinaia di persone annegate in questi giorni. I numeri dei migranti morti nel Mediterraneo sono paragonabili a quelli di un conflitto e non c'è ragione di pensare che possano in qualche modo diminuire".
Lo staff del Moas |
Per mettere in mare la Phoenix, Christopher e Regina Catrambone hanno stanziato una somma iniziale che si aggira intorno ai 4 milioni di euro. Una cifra che permette all’imbarcazione e al suo staff medico e tecnico di portare avanti la missione per circa 60 giorni, di cui un terzo già passati. Tuttavia, sul sito internet dell’organizzazione è stata lanciata una campagna di raccolta fondi e tanti sono quelli che in privato hanno contattato la famiglia Catrambone per poter contribuire al progetto. “La nostra prima missione è ormai giunta al termine – spiega Regina Catrambone - ed è stata estenuante sia fisicamente che emotivamente. L'esperienza ci ha aperto gli occhi sulle condizioni di vita delle persone a bordo di queste piccole imbarcazioni sovraffollate, in particolare dei tanti bambini e neonati. Per noi è stata anche un’esperienza unica per testimoniare l’impegno di Mare Nostrum e di altre realtà, tra cui molte navi commerciali che hanno partecipato a salvataggi in mare. Si tratta di eroi che stanno aiutando a prevenire ulteriori tragedie in mare. Dovrebbero ricevere un sostegno adeguato e incentivi per continuare a farlo”. Per la fondatrice del progetto Moas, serve uno sforzo condiviso per poter far fronte al fenomeno. “La dura realtà è che le persone continuano a morire in mare – ha aggiunto -, come è successo di nuovo qualche giorno fa. Per noi questo è un monito che ci impone uno sforzo condiviso per soccorrere chi fugge per disperazione. Mare Nostrum sta facendo un lavoro fantastico, ma la responsabilità dei soccorsi in mare deve essere collettiva. Questa è una crisi umanitaria che richiede un’azione concertata”.(ga)