Social Fame, in un libro la riflessione su adolescenza, disturbi alimentari e social media
ROMA – Non un elemento di nicchia, ma un fenomeno di massa che in Italia riguarda circa 3 milioni di persone, 10 volte di più dei 300 mila casi che si contavano all’inizio degli anni Duemila. Sono i disturbi dell’alimentazione, un dramma in aumento soprattutto tra gli adolescenti che, tra il 2019 e il 2022, sono passati da 680.569 a 1.450.567. E che, nello stesso intervallo di tempo, hanno registrato un calo dell’età media dell’insorgenza (nel 2023 una persona su 5 è sotto i 14 anni) e un aumento della diffusione tra i maschi (il 20% nella fascia di età tra i 12 e 17 anni). A partire dal 2020 il fenomeno dei disturbi alimentari si è aggravato anche a causa della pandemia e del lockdown: una questione, quest’ultima, collegata anche all’uso dei social media, che con il Covid sono diventati ancora più centrali nella vita dei ragazzi. A questo tema, scottante in tutti i Paesi occidentali, è dedicato il volume “Social Fame. Adolescenza, social media e disturbi alimentari” (Il Pensiero Scientifico Editore), che verrà presentato martedì 19 settembre a Milano, presso la libreria Feltrinelli di Piazza del Duomo. Redattore Sociale ha intervistato Laura Dalla Ragione, psichiatra e psicoterapeuta direttore UOC-Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione (USL 1 dell’Umbria), che ha firmato il volume insieme Raffaela Vanzetta, psicoterapeuta e coordinatrice del Centro di prevenzione dei disturbi alimentari Infes a Bolzano
Professoressa, quali sono i temi centrali del libro?
Il libro affronta la questione della connessione tra i social media e i disturbi del comportamento alimentare, perché tra i temi più presenti sui social ci sono l’immagine corporea e il cibo, due dei fattori che possono rappresentare, appunto, la porta d’ingresso in questo tipo di disturbi. Si tratta di un libro pensato soprattutto per gli insegnanti, i genitori, i pediatri e tutti quelli che hanno a che fare con i ragazzi: categorie di persone che spesso sottovalutano l’impatto che questi mezzi possono avere sui giovani e, talvolta, anche sugli adulti. Il libro, inoltre, costituisce anche l’occasione per presentare i dati epidemiologici di questi disturbi, che spesso vengono considerati di nicchia, mentre secondo l’ultima rilevazione del ministero della Salute, che io stessa ho coordinato, in Italia riguarda circa 3 milioni di persone, prevalentemente nella fascia di età dai 12 ai 25 anni, ma che ormai si è abbassata anche al di sotto dei 12 anni. E che oggi riguarda sempre di più anche i maschi.
Cosa accade in mancanza di una presa in carico dei ragazzi interessati dal disturbo?
I disturbi alimentari costituiscono una patologia che può essere curata e da cui si può anche guarire, specie se si ricorre alle cure precocemente, ma che in assenza di esse può anche condurre alla morte. Circa la metà delle regioni italiane non hanno strutture dedicate a queste patologie, per cui pazienti giovanissime, a volte perfino bambine, non ricevono le cure adeguate e quindi l’esisto della patologia può essere anche letale.
Che c’entrano i social in tutto questo?
Il tema dei social media si connette strettamente a quello della comunicazione, che oggi è spesso veicolo di fake news e modelli culturali potenzialmente molto impattanti e fuorvianti per gli adolescenti: la magrezza come valore assoluto, il corpo perfetto e tutta una serie di notizie false riguardanti l’alimentazione, visto che i due grandi temi del momento sono il corpo come modello irragiungibile e l’alimentazione, con tutti i suoi guru, trainer e influencer vari. Quindi, senza voler criminalizzare i social, che invece possono essere molto utili per tantissime cose, dobbiamo far capire ai ragazzi e agli adulti che richiedono alfabetizzazione e conoscenza. Anche perché gli stessi nativi digitali conoscono il mezzo, ma non l’impatto emotivo che esso può produrre sulle loro vite.
Forse sono troppo giovani per comprendere a pieno l’impatto di uno strumento che gli è tanto familiare.
I social media, soprattutto le grandi piattaforme come Instagram e TikTok prevedono un limite di età per l’utilizzo, ma in realtà ci sono sempre più preadolescenti che accedono a queste piattaforme. Per esempio, ogni giorno nei nostri ambulatori incontriamo ragazze di 11 o 12 anni che hanno già un profilo su Instagram o su TikTok. Poi il Covid ha amplificato sia i disturbi alimentari sia l’impatto che i social hanno su questa patologia, perché durante il lockdown la rete ha sostituito la vita reale che in quel momento non era possibile vivere. E infatti tra il 2020 e il 2022, c’è stato un forte aumento dell’uso delle piattaforme social e una crescita dei disturbi alimentari del 30%.
Tutta colpa dei social allora?
No, i social possono essere considerati un fattore di rischio, ma non la causa dei disturbi alimentari. Occorrerebbe cioè più consapevolezza nel loro uso sia da parte dei ragazzi che degli adulti. Perché gli adulti passano dalla minimizzazione alla criminalizzazione, mentre la verità è che si tratta di un mezzo che può essere utilizzato in modo negativo o positivo. Tutto sta ad utilizzarlo con consapevolezza e capacità critica. Su questo la scuola dovrebbe avere un ruolo determinante, che invece non ha, perché stenta a comprendere che si tratta di un argomento di cui parlare con i ragazzi, da affrontare in classe. Ci vorrebbe un’ora di lezione su come utilizzare i social media.
Un’ora di lezione al giorno, al mese o all’anno?
L’uso dei social media dovrebbe essere una vera materia scolastica e nel volume presentiamo proprio questa proposta: così come si insegna l’educazione civica, bisognerebbe insegnare come si usano le piattaforme digitali, perché esse rappresentano una forma di comunicazione molto potente per i ragazzi, ma del cui impatto loro non si rendono conto a pieno.
Dovrebbe essere affidato agli insegnanti questo compito?
Come la maggior parte degli adulti, anche la maggior parte degli insegnanti non ha la minima conoscenza di questo mezzo. Poiché si tratta di realtà virtuale, tendiamo a dargli poca importanza. Invece la realtà virtuale per i ragazzi è molto reale: i sentimenti, le paure, le offese, il bullismo che si manifesta attraverso i social sono reali e non hanno nulla di virtuale.
Gli ultimi casi di cronaca sembrano suggerire che alcuni tra gli stessi food blogger e food influencer abbiano dei disturbi alimentari mascherati. È davvero così?
Ci sono tante pagine di recovery, spesso molte seguite, che in realtà sono finte pagine di guarigione: dagli stili di vita, di alimentazione o di fitness presentati si capisce che i loro promotori vivono ancora all’interno di un disturbo. Perché una delle caratteristiche di questo tipo di disturbi è proprio la scarsa consapevolezza della malattia. Ne è un esempio lampante Zhanna Samsonova, l’influencer russa vegana e crudista, morta lo scorso agosto in Malesia. Aveva circa 600mila follower e, pur essendo visibilmente malnutrita, riusciva a inviare il messaggio che stesse conducendo una vita sana. Mentre nella vita reale per dare consigli sulla nutrizione devi avere una laurea ed essere iscritto a un ordine, sul web c’è una sorta di far west: puoi dispensare indicazioni a centinaia di migliaia di persone senza avere alcun titolo per farlo. E questo rappresenta uno degli elementi di maggior fragilità della rete, soprattutto in una fase storica in cui moltissime persone cercano di perdere peso e di vivere in armonia.
Come influisce tutto questo sulla salute?
Oggi i disturbi alimentari rappresentano una moderna di forma di depressione. In questo momento storico, infatti, è probabile che chi ha un trauma, una difficoltà familiare, una fragilità incorra in un disturbo alimentare piuttosto che in un disturbo depressivo. Insomma la pressione culturale e sociale sull’alimentazione, le diete, il fitness possono trasformarsi in un fattore di rischio. Non ne sono certo la causa, ma spiegano l’insorgenza di questa patologia piuttosto che di altre.
Secondo i dati tratti dai Registri regionali sulle cause di morte nel 2022, i decessi sono stati oltre 3 mila, facendo dei disturbi alimentari, insieme ai suicidi, la seconda causa di morte tra gli adolescenti. Com’è possibile?
I dati Istat ci dicono che suicidi e cause naturali, intese come le complicanze cliniche della malnutrizione, rappresentano la seconda causa di morte tra i giovani. Tuttavia, va evidenziato che, in presenza di disturbi alimentari, la propensione agli atti anticonservativi è maggiore. Chi soffre di un disturbo alimentare ha cioè 6 volte più probabilità di mettere in atto un suicidio o un tentativo di suicidio: un rischio di cui dobbiamo sempre tener conto accanto alle complicanze mediche legate alla malnutrizione.