Sperimentazione Sia. Torino esempio virtuoso, anche grazie al terzo settore
TORINO - Il sostegno per l'inclusione attiva (Sia) si prepara a diventare un affare nazionale. Stando a quanto sancito dall’ultima legge di stabilità, a partire dal 1 gennaio 2016 il lavoro fatto nei 12 comuni che hanno partecipato alla sperimentazione rappresenterà il modello per implementare, sull’intero territorio italiano, i fondi dedicati alla lotta alla povertà. Per questo, il personale addetto al welfare dei 12 centri coinvolti sta cercando ora di stilare un bilancio dell’esperienza, così da individuarne punti di forza e debolezza. A guardare gli esiti complessivi, si direbbe che Torino rappresenti, in questo senso, un caso virtuoso: eppure, neanche qui gli esiti appaiono troppo incoraggianti.
Insieme a Catania e Palermo, il capoluogo sabaudo è stato l’unico dei 12 centri a utilizzare quasi per intero le risorse dedicate, con un avanzo del 10 per cento a fronte del 40 registrato in media nei restanti centri coinvolti. “Nel nostro caso - spiegano dall’assessorato alle politiche sociali - parliamo di cifre che, attestandosi nell’ordine delle migliaia di euro, risultavano troppo esigue per essere riutilizzate nell’ambito della sperimentazione; ma che probabilmente confluiranno nei fondi per il 2016”. Sono stati 950 - a fronte di 1.900 domande circa - i nuclei familiari che a Torino hanno avuto accesso alla card: una percentuale nemmeno troppo bassa, se confrontata con la media degli altri comuni, che hanno maggiormente risentito dei criteri stringenti con cui Inps e ministero del Lavoro hanno valutato (e spesso falcidiato) le singole richieste. Come stabilito dalle linee guida ministeriali, il 50 per cento dell’utenza è stato coinvolto in una “sperimentazione nella sperimentazione”, con l’inserimento in una serie di percorsi personalizzati che miravano alla fuoriuscita dalla povertà. “In altre parole - continuano dall’assessorato - a Torino abbiamo cercato di accompagnare 475 famiglie verso una maggiore stabilità economica, utilizzando non soltanto le 100mila euro circa arrivate dal ministero, ma anche una serie di risorse di bilancio comunale, oltre ai fondi messi a disposizione da Compagnia di San Paolo, Action aid e Save the children”.
Per valutare l’impatto complessivo dell’esperienza, all’Università di Torino è stata commissionata un’indagine presso le famiglie e gli operatori coinvolti “che dovrebbe essere pubblicata in forma sintetica nei prossimi giorni - spiegano all’assessorato - mentre per una versione estesa bisognerà attendere i primi di gennaio”. Quel che è certo è che, ad oggi, un qualche miglioramento si è registrato nella condizioni lavorative di appena un 20 per cento dei nuclei coinvolti: “parliamo quindi di una novantina di utenti in tutto dei quali soltanto 3 sono riusciti ad ottenere un contratto a tempo indeterminato”.
Più in dettaglio, la Compagnia di San Paolo ha collaborato all’attivazione di 128 contratti di lavoro accessorio, andati avanti per un periodo di 4 mesi circa con uno stanziamento di 2mila euro per nucleo; oltre a un centinaio di percorsi di rafforzamento dell’occupabilità, che si sono tradotti in programmi di formazione, aggiornamento e riposizionamento lavorativo. Save the children, invece, ha contribuito al finanziamento delle cosiddette “doti educative”: “si tratta - spiegano dall’assessorato - di fondi messi a disposizione per incoraggiare e coltivare i talenti dei bambini nei nuclei coinvolti: in questo caso, i beneficiari sono stati 25, e grazie al denaro ricevuto hanno potuto acquistare, ad esempio, scarpette da ballo o attrezzatura sportiva”. Circa 230 nuclei sono stati invece coinvolti in un programma di educazione finanziaria, “nell’ambito del quale - chiariscono gli addetti al welfare torinese - esperti del settore hanno tenuto un ciclo di lezioni sulle strategie di gestione del bilancio familiare, fornendo inoltre una maggiore consapevolezza circa una serie di possibili trappole molto frequenti nei giorni nostri, come la firma di finanziarie o rateizzazioni dalle condizioni opache”. Secondo l’assessorato “pure avendo incontrato una certa resistenza da parte delle famiglie, si è trattato di una delle iniziative più efficaci tra quelle messe in campo; forse perché, a differenza dell’inserimento lavorativo, qui non ci si scontrava con i limiti del mercato e della congiuntura economica”. In una valutazione preliminare, da parte del comune e di alcuni degli enti coinvolti, la sperimentazione è stata definita, del resto, “ambiziosa ma difficile e timida”. “Si cercava di intercettare una fascia di utenza molto particolare - concludono dall’assessorato - che vive in condizioni di povertà, ma spesso finisce per non rivolgersi ai servizi sociali: l’obiettivo, dunque, era anche una loro inclusione all’interno delle reti del welfare”. (ams)