3 settembre 2010 ore: 10:36
Immigrazione

Spinazzola, Boreano: i casolari abbandonati, l’unico rifugio per gli stagionali

Sfruttamento con il caporalato e per la vendita di acqua ai braccianti. Le condizioni abitative disumane spostano l’attenzione dai controlli sul lavoro nero all’emergenza umanitaria. Manca l’assistenza sanitaria
PALAZZO SAN GERVASIO (PZ)  - Niente qui ricorda un luogo soggetto all’oppressione mafiosa e al degrado come Rosarno. E’ una cittadina tranquilla di cinquemila abitanti, piuttosto curata, che vive di agricoltura, soprattutto ortaggi, pomodori e vivai. E’ una delle tappe fisse nel percorso della popolazione forzatamente nomade dei braccianti stagionali africani e maghrebini su cui grava ormai la produzione agricola del meridione. Sono sempre quei circa tremila lavoratori stranieri che si spostano nelle regioni del Sud da vent’anni e per i quali il problema più grave è lo sfruttamento sul lavoro. In questa area agricola che territorialmente sta in provincia di Potenza, la raccolta del pomodoro ha dinamiche molto simili al foggiano. Infatti da qui passa il confine con la Puglia, dalle ricche falde acquifere della zona si rifornisce l’acquedotto pugliese e nell’area c’è anche il comune di Spinazzola che già non è più territorio lucano. Eppure, sotto la calma apparente, emergono racconti inquietanti. Come quelli di uno straniero che vive qui da quasi dieci anni stabilmente e non è riuscito a regolarizzarsi. Dice che il lavoro con i caporali non vuole più farlo, che una volta per averne parlato ai giornalisti è stato picchiato e che in un blitz delle forze dell’ordine al campo d’accoglienza, alcuni anni fa, gli è stata  puntata una pistola alla tempia. Dichiarazioni difficili da verificare, però anche incrociandole con i racconti dei volontari, viene fuori un ritratto duplice del rapporto tra i locali e gli stranieri. Ad agosto, in una riunione informale del costituendo coordinamento pro migranti di Venosa, un comune limitrofo, si sottolineava la disponibilità della popolazione a fornire aiuti, acqua e indumenti con la Caritas. Ma si parlava anche di episodi, magari sporadici, di aperta ostilità verso i migranti. Da chi li insulta a chi spara in aria per spaventarli, a chi è andato con i trattori ad arare attorno alle casette in cui si rifugiano gli africani. Non ci sono servizi igienici e i contadini hanno usato il trattore per evitare che gli stranieri andassero a fare i loro bisogni nei campi.
 
Non  manca chi sfrutta la situazione. Alcuni contadini e caporali in passato avrebbero rifornito l’acqua, facendosi pagare 15 euro a cisterna oppure 30, 40 centesimi a bidone. Tutta l’area, ormai da oltre un decennio, è tappa obbligata per chi ha raccolto i pomodori nel foggiano o le angurie nel Salento e ora passa da qui prima di andare a Rosarno. A Palazzo il pomodoro matura per ultimo. Senza contare il fenomeno, ormai documentato e frequente dei tanti che hanno perso il lavoro al nord e temendo per la scadenza del permesso di soggiorno si spostano verso aree con minori controlli, dove sopravvivere lavorando alla giornata. E’ il caso di Doudou, in Italia dal 2003, è un burkinabè che parla italiano con accento vicentino. Al nord lavorava in un azienda di assemblaggio del legno e la crisi lo ha spedito con altre decine di operai in un casolare fatiscente a Spinazzola.
 
L’acqua è il problema più grave, gli insediamenti sono in vecchie masserie, vicino a pozzi e fonti. Ma il sovrannumero rende la situazione invivibile. Come a Boreano, un gruppo di case fantasma, ora affollate da altri spettri, i lavoratori dei campi in attesa di chiamata. Manca l’assistenza sanitaria per la lontananza dagli ambulatori pubblici, ma anche quella legale. Le condizioni disumane fanno spostare l’attenzione dal problema del caporalato e dello sfruttamento a quello dell’emergenza sanitaria. Un sistema malato che si riproduce ovunque al sud. Per fare fronte alla situazione sono sorte iniziative di volontariato e di monitoraggio, come l’Osservatorio migranti Basilicata, progetto del l’associazione Michele Mancino e il coordinamento pro migranti di Venosa, formato da associazioni, cittadini e dalle tre caritas parrocchiali. A spiegare come funzionano le cose è Gervasio Ungolo, animatore dell’Osservatorio ed ex amministratore comunale. “C’è un racket del caporalato per cui i caporali stranieri pagano il pizzo agli italiani – dice – poi c’è il sistema dell’ingaggio in agricoltura, ma il fatto che venga aperto l’ingaggio non assicura il lavoro, magari viene segnata una sola giornata su dieci di lavoro effettivo”. Un paravento per i controlli, che a Palazzo non mancano, essendo il paese con il centro d’accoglienza e quindi quello su cui venire a cercare la manodopera. Ungolo, che con la Caritas è riuscito lo scorso anno a dare ospitalità stabile a 11 migranti, salvandoli così dall’ennesimo viaggio a Rosarno, lancia un appello. “Abbiamo bisogno di gente, di volontari che ci diano una mano per fare qualcosa in modo stabile – afferma – i migranti sono un’opportunità perché serve manodopera in un paese in via di spopolamento, anche per l’indotto sui commercianti”. (rc)
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