Stabilità 2016. Né Imu né Tasi: puntare sul sociale per una scossa all’economia
ROMA – Se invece che per fare il funerale all’Imu sulla prima casa e alla Tasi, il governo decidesse di impiegare la somma di 5 miliardi di euro per interventi nel sociale a favore delle fasce sociali più in difficoltà, ciò costituirebbe da un lato un segnale di attenzione verso chi ha davvero subito le conseguenze della crisi economica e dall’altro porterebbe un rilancio netto e immediato dei consumi, con grandi benefici per tutta l’economia del paese. A Pietro Barbieri, portavoce del Forum del Terzo Settore, non hanno sorpreso particolarmente le prime esternazioni del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, sulla legge di stabilità 2016, la cui prima versione viene messa a punto in queste settimane: un intervento netto sulle tasse sulla casa, con abolizione dell’Imu sulla prima casa ed eliminazione della Tasi. “L’idea della riduzione, o per certi versi dell’eliminazione, delle tasse sul patrimonio è coerente - argomenta Barbieri - con l’idea di lasciare più soldi nelle tasche dei cittadini, in modo che possano spendere e rilanciare i consumi. Il problema però è che i consumi sono bassi soprattutto fra quanti non hanno possibilità di spendere, o a causa della crisi l’hanno vista sensibilmente ridotta, e quindi fra coloro che sono in condizione di povertà o sono a forte rischio di impoverimento. Ed è su queste categorie che si dovrebbe spingere”.
Se il governo, insomma, cerca un volano per far ripartire i consumi interni, una cosa dovrebbe fare: aiutare chi è in difficoltà. Invece l’abolizione della Tasi e dell’Imu prima casa per tutti dà vantaggi soprattutto “a quel ceto medio che ha già possibilità di consumo e la crisi non l’ha sentita in maniera importante”. Gente che, verosimilmente, sceglierebbe di destinare le risorse aggiuntive al risparmio, e non ai consumi, come del resto è in larga parte avvenuto nell’ultimo anno e mezzo per il cosiddetto “bonus Renzi”, gli 80 euro al mese in più in busta paga (che hanno escluso proprio gli incapienti). Se invece, è il ragionamento, i soldi andassero in tasca alle fasce sociali più povere, o se queste li potessero avere come conseguenza di un miglioramento dei servizi, tutto questo si tradurrebbe automaticamente – e quasi completamente – in un aumento dei consumi, con i benefici macro-economici che si possono immaginare.
“La strategia scelta dal governo invece – dice Barbieri – non considera adeguatamente le condizioni socio economiche del paese, con tutti i rischi che ne conseguono”: in primis l’acuirsi delle difficoltà sociali, che significa poi, in intere zone del Paese, soprattutto nel meridione, “la dipendenza dei giovani dalla famiglia e dall’aiuto intergenerazionale quando va bene, e il lavoro nero o la criminalità organizzata quando va male”. “E’ vero – riconosce Barbieri – che sembra esserci l’intenzione di ragionare attorno alla questione degli incapienti, ma cosa questo possa significare concretamente ancora non si sa”. E in ogni caso, specifica, temi come la povertà, la disoccupazione, la non autosufficienza, i servizi alle persone, i servizi alla prima infanzia, dovrebbero essere affrontati nella loro interezza, e non con misure parziali. In definitiva, “vanno rafforzate le politiche sociali per chi ha perso il lavoro, per chi non produce reddito o non può produrlo perché non autosufficiente, per le famiglie con figli che hanno pochi servizi, per chi ha esperienze di dipendenza, di carcere, di marginalità”. E anche per i migranti: “La Germania – dice al riguardo - ci sta dando una bella lezione con lo stanziamento di 6 miliardi di euro per l’accoglienza, l’integrazione e l’inclusione dei migranti, cifre che noi non abbiamo mai neppure lontanamente raggiunto”.
“Nel nostro paese – argomenta Barbieri - la politica sottovaluta alcune questioni e ne ipervaluta altre: la tassazione è certamente elevata ma lo è soprattutto in funzione di ciò che restituisce ai cittadini. Per migliorare c’è bisogno di un programma molto radicale di ristrutturazione che non attiene però solo allo stanziamento – che pure è importante – ma anche alla capacità di spesa e all’infrastruttura. Servono riforme, ma queste hanno bisogno di tempo per essere realizzate e dare risultati concreti. E perché è così difficile metterle in cantiere? “Perché – dice Barbieri – la politica misura la sua forza in base alle scadenze elettorali, cioè quasi ogni anno fra amministrative, regionali, europee e politiche. Ecco allora che l’intervento spot, quello che restituisce un risultato più immediato anche nel consenso dei cittadini, è quello che più viene cercato. E’ come la trimestrale di cassa delle grandi aziende: la politica ha bisogno di risultati immediati, elettoralmente spendibili. Non stupiamoci allora se non c’è un piano lungimirante che guarda al futuro. Se il Reis, un vero Piano contro la povertà assoluta, venisse messo in piedi domani mattina, i primi effetti reali arriverebbero se va bene nel giro di due anni: troppi, per questa politica che vuole passare ad un incasso molto più rapido e veloce. La conseguenza di tutto ciò, purtroppo, è che i vari dossier aperti vengono affrontati adeguatamente solo in minima parte e nel frattempo continuano i problemi di fondo, quelli cronici, del nostro paese: la Pubblica Amministrazione che non funziona, i fondi europei che non sappiamo usare, i centri per l’impiego che non fanno il loro mestiere, e via dicendo”. La legge di stabilità, in questo senso, potrebbe essere l'occasione di cambiare strada. Ma bisogna volerlo. (ska)