10 luglio 2013 ore: 12:28
Welfare

Stranezze italiane: al 40% più ricco un quarto della spesa sociale

I dati e le proposte del rapporto “Costruiamo il welfare di domani” curato dall’Irs. Per l’assistenza spendiamo 67 miliardi, ma in modo iniquo e inefficiente. E l’impatto delle risorse per contrastare la povertà è tra i più bassi d’Europa
Imprese sociali. Puzzle

Imprese sociali. Puzzle

box Al 40 per cento della popolazione più ricca va quasi un quarto della spesa per l’assistenza sociale italiana (calcolata in 67 miliardi). Sembra impossibile, ma è così. È il frutto di una cattiva gestione delle risorse e dell’adozione di indicatori nella valutazione del reddito che ne impediscono un’equa ripartizione. È il dato più eclatante che emerge dal rapporto “Costruiamo il welfare di domani”, realizzato da Prospettive sociali e sanitarie, Ars (Associazione per la ricerca sociale), Capp (Centro di ascolto delle politiche pubbliche), Istituto per le ricerche sociali (Irs) con il patrocinio della Fondazione Cariplo, e anticipato oggi a Roma alla presenza del viceministro del Welfare Maria Cecilia Guerra.

Un rapporto che, nel denunciare i limiti di un sistema di welfare da troppo tempo in attesa di una riforma, mette nero su bianco tre proposte per cambiare le cose.

 È colpa dell’inadeguatezza del sistema, ad esempio, se l’Italia è terz’ultima nell’Ue27 nel rapporto tra i soldi spesi  per contrastare la povertà e l’impatto effettivo sulla sua riduzione, davanti solo a Bulgaria e Grecia, e se permangono disparità tra regioni e tra generazioni nella distribuzione delle risorse. 

Per superare i cronici limiti che affliggono il sistema gli estensori del rapporto hanno ideato tre proposte concrete in materia di non autosufficienza, sostegno alle famiglie, povertà.

 La prima: l’introduzione di una “dote di cura” in sostituzione all’indennità di accompagnamento, con l’obiettivo di incentivare l’accesso ai servizi da parte degli utenti. La seconda: un assegno per i minori, con o senza detrazioni per altri familiari a carico, graduato in base alla condizione economica della famiglia e al numero dei componenti. La terza: l’introduzione di un “reddito minimo di inserimento” nell’ottica di un welfare attivante, cioè promuovendo il reinserimento lavorativo dei beneficiari.

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