Tanti stranieri e povertà estreme, a Sassari la Caritas che vuol risvegliare una città
SASSARI - Una città da 120 mila abitanti, un territorio dalla forte vocazione universitaria e culturale, una comunità cittadina che cerca nuovi motivi di coesione riprendendo in mano – dopo un periodo fatto di timori e paure – la dimensione dell’ascolto e dell’inclusività. In un percorso che vede protagonista la Caritas cittadina, desiderosa non solo di migliorare le proprie attività di sostegno e aiuto ai più poveri, ma anche di svolgere un ruolo attivo di natura pedagogica, promuovendo lo sviluppo culturale e la crescita non solo delle comunità cristiane ma dell’intera società.
A Sassari, seconda città dell’isola per numero di abitanti e centro principale del Nord Sardegna, questi anni del post pandemia Covid raccontano un bisogno indubbiamente maggiore rispetto al passato e una sempre più alta richiesta di aiuto: i cambiamenti e la complessità di questo tempo ha infatti portato all’acuirsi di un senso di disorientamento e di disagio psicologico che, nel caso delle persone più povere, viene avvertito in modo particolarmente acuto. Un’esigenza che la locale Caritas diocesana ha saputo individuare ed intercettare. Ne parliamo con il suo direttore, Antonello Spanu, che incontriamo negli spazi antistanti la mensa di via Rolando poco prima che – poco distante da lì – prenda il via il nuovo ciclo di seminari di formazione per giornalisti organizzati dall’Ordine dei Giornalisti della Sardegna, da Caritas Sardegna e da Redattore Sociale, con Ucsi Sardegna.
Bisogni in crescita, le risposte della Caritas di Sassari
La Caritas turritana – ma ciò vale per ogni Caritas – è la porta di accesso alle varie povertà del territorio, che dà una prima risposta ai bisogni di prima necessità e assicura il necessario ascolto e la necessaria accoglienza a tutti: “Il nostro punto di forza specifico – dice il direttore Spanu – è quello della risposta alle povertà estreme. Con l’azione coordinata dei centri d’ascolto, delle mense, del Centro diurno gestito dalle suore vincenziane, e dei dormitori, riusciamo infatti a chiudere il cerchio dell’accoglienza di chi vive in strada e non ha alcun diritto”. Un’azione che si indirizza anche ai quei migranti che hanno trovato accoglienza nei due CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria) aperti in risposta alle esigenze manifestate dalla Prefettura: uno dedicato agli adulti (una cinquantina), l’altro ai minori stranieri non accompagnati (circa 25).
I referenti e gli operatori principali dei vari servizi della Caritas diocesana di Sassari sono 25, intorno ai quali ruotano complessivamente circa 150 volontari. I vari Centri d’ascolto – quello riservato agli italiani, quello specifico per i migranti e quello particolare per le mamme – hanno complessivamente una trentina di incontri per ogni giorno di apertura. Sono circa 80 le persone che quotidianamente si siedono alla tavola della mensa Caritas, mentre sono 30 le persone che usufruiscono a turno del servizio di accoglienza. Nel sistema di accoglienza migranti (CAS) sono inserite come detto 75 persone, dei quali 25 sono minori stranieri non accompagnati. Una trentina invece sono le donne che fanno riferimento al Centro mamme. A questi numeri va aggiunta naturalmente tutta l’attività curata a livello parrocchiale, con un’importante assistenza nella distribuzione di beni di prima necessità.
Oltre l’assistenzialismo, recuperare la dimensione pedagogica
Il “da fare” non manca di certo, e l’impegno e la progettualità in tal senso non manca, ma nel suo racconto il direttore della Caritas manifesta una consapevolezza che va oltre tutto questo: “Dobbiamo prendere atto – dice con semplicità - che ci siamo schiacciati troppo sulla dimensione assistenzialistica e che è necessario riprendere in mano la dimensione pedagogica, che per la Caritas è prevalente e che deve essere ripensata in un tempo come questo che segna un cambiamento d’epoca. Dobbiamo scommettere sul dialogo con le tante povertà e le tante culture e religioni presenti sul territorio, riprendendo una competenza che non dobbiamo affatto dare per scontata, perché non è detto che ci sia”.
E, per spiegare meglio, riprende: “Vuoi per la pandemia, vuoi per la crisi economica o per l’avanzare del fenomeno migratorio in tutta la sua complessità, la nostra città ha preso su di sé un sentimento di paura e la stessa comunità cristiana ha vissuto una certa chiusura a causa della preoccupazione diffusa. Ci siamo chiusi a riccio, rischiando di ritrovarci nelle sacrestie. La direzione da prendere, tenendo conto di questa fatica, è quella di accompagnare le comunità cristiane dentro un percorso che, coinvolgendo tutta la società, favorisca il risveglio di quel patrimonio di attenzione all’altro che in passato c’è sempre stato e che ha caratterizzato a lungo un territorio a forte vocazione culturale e universitaria come è quello di Sassari”. Un indirizzo di azione questo che peraltro la diocesi dell’arcivescovo Gian Franco Saba - in linea con l’impronta sinodale data da papa Francesco all’intera Chiesa - ha instradato concretamente in un vero e proprio progetto educativo, interculturale e interreligioso (denominato “Fondazione Accademia - Casa di Popoli Culture e Religioni”) che punta a promuovere lo sviluppo culturale, la crescita economica e le capacità di integrazione e dialogo nel territorio. “A Sassari – rimarca il direttore della Caritas turritana - esiste un terreno favorevole per un patto educativo che coniughi l’aiuto e l’attività caritativa con un accompagnamento di carattere culturale a livello parrocchiale e diocesano”. Insomma, la Caritas di Sassari mira a risvegliare un senso più allargato di comunità: “Sentiamo l’esigenza di riconnetterci con il territorio e con le agenzie sociali e caritative che lo abitano”. Chiamando a raccolta dunque anche le istituzioni civili e politiche.
Ribaltare gli schemi: i poveri diventino protagonisti
Un impegno che in Caritas non viene vissuto solo in riferimento alla realtà esterna, ma anche rispetto alle modalità che determinano e caratterizzano i propri interventi, ad iniziare da quei Centri d’ascolto che in quanto porta d’accesso ai servizi determinano la prima impronta e l’intero stile. L’intenzione è quella di ripensare insieme ai poveri le proprie attività: “La visione che va ribaltata – argomenta il direttore Spanu - è che i poveri non sono oggetto di assistenza, ma sono protagonisti dei cambiamenti sociali, per cui ci deve essere un ascolto che faciliti l’incontro e il riconoscimento dell’altro come risorsa”. In un certo senso “devono essere loro a dirci cosa dobbiamo fare come comunità”. E’ un nuovo approccio, questo, che implica il “no” a un’impostazione dall’alto e che dovrà portare nel tempo a cambiamenti concreti. A Sassari la strada è tracciata.