23 agosto 2017 ore: 14:42
Società

Terremoto, un anno dopo. "Perché tanto tempo per far tornare le persone?"

Ad un anno da quel 24 agosto che ha cambiato la vita di intere comunità, Caritas Italiana fa un bilancio. Oltre 26 milioni raccolti con le donazioni (incluso il milione della Cei), 8 i centri di comunità realizzati, a Rieti costruiti anche moduli abitativi, ma sono tanti i progetti in cantiere. Don Andrea La Regina: "Un anno passato con fatica. Pensare ai giovani"
Terremoto, mappa centri di comunità Caritas

Terremoto, mappa centri di comunità Caritas

ROMA - È passato un anno dal terremoto del 24 agosto 2017 che ha dato inizio ad una scia di eventi sismici che ha causato 299 vittime e ha sconvolto intere aree dell’Appennino
e dell’Italia centrale, ma alla ricostruzione “serve una marcia in più”. Ne è convinto don Andrea La Regina, responsabile macro progetti ed emergenze nazionali di Caritas italiana, che a Redattore sociale racconta un anno di attività sui territori, di gemellaggi tra le diocesi e di interventi per far sì che le comunità colpite possano tornare ad avere un futuro. “Un anno passato con fatica - racconta La Regina -, soprattutto per le popolazioni hanno dovuto fare i conti con la permanenza lungo la costa, per quelli che hanno trovato situazioni di fortuna per rimanere sul posto per via degli allevamenti. E poi per la situazione psicologica delle famiglie per via delle macerie ancora presenti. Le casette adesso cominciano ad essercene in numero più sufficiente, ma ancora non del tutto. È passato un anno e bisognerebbe interrogarsi perché debba passare tanto tempo per fare in modo che queste popolazioni possano tornare non solo ad avere un tetto nel proprio territorio, ma perché si possa progettare un futuro”. 

L’impegno della Caritas a favore delle comunità colpite dai territori è stato immediato, supportato anche dalla donazione di un milione messo subito a disposizione dalla Cei. Donazioni che, anche grazie alla colletta nazionale del 18 settembre del 2016, sono arrivate superare i 26 milioni di euro complessivamente. Risorse che hanno supportato interventi d’urgenza, la costruzione di strutture, la progettazione sociale e il sostegno alle delegazioni gemellate con l’impiego di oltre 6 milioni di euro, mentre quasi 13 milioni sono stati impegnati per ulteriori costruzioni e attività di progettazione sociale. Uno degli interventi di Caritas Italiana, infatti, è stata la costruzione di luoghi polifunzionali, pensati per rendere possibili le attività religiose, culturali e aggregative delle comunità. In un anno sono state realizzate o progettate in tutte le diocesi terremotate diverse tipologie di centri di comunità: da container assemblati a prefabbricati metallici, da strutture con fondamenta in muratura, acciaio o legno. Secondo i dati forniti dalla Caritas, al primo luglio di quest’anno sono otto i Centri di comunità già realizzati, mentre altri 15 sono in realizzazione o in fase istruttoria, insieme ad altre tipologie di strutture. “I centri di comunità sono un intervento innovativo - racconta La Regina -. Sono un luogo di coesione e sia quelli temporanei che quelli definitivi rappresentano un modo per far sentire la comunità accolta e per permettere loro di tenere vive le attività sui territori”.

Terremoto, mappa centri di comunità Caritas
Terremoto, mappa centri di comunità Caritas

La maggior parte dei Centri di comunità realizzati è collocata nella diocesi di Rieti, dove sono stati consegnati anche moduli abitativi a 45 famiglie di cui 12 allevatori. Ma gli interventi per gli allevatori e le piccole attività economiche vanno oltre le strutture: dopo i monitoraggi, tramite un ascolto itinerante, si stanno delineando interventi di supporto anche finanziario (prestiti e microcrediti) a progetti imprenditoriali condivisi perché costruiti insieme. “Il carattere e l’identità delle persone dell’Appennino lascia ben sperare - racconta La Regina - perché sono persone decise, non si abbattono e si danno da fare. Sono legate alle proprie radici che li tengono uniti”. Insieme alla Scuola di economia civile e ad alcuni dottorandi della Lumsa di Roma, inoltre, la Caritas ha avviato anche un lavoro di monitoraggio sui territori colpiti dal sisma con lo scopo di individuare linee progettuali di sviluppo prioritarie. Un’analisi condotta sulle sette province maggiormente colpite dal sisma: Rieti, Perugia, Ascoli Piceno, Fermo, Macerata, L’Aquila e Teramo. “Si tratta di una mappatura della realtà sociale ed economica - spiega La Regina - che permetterà di passare alla progettazione e comprendere ciò che la Chiesa può fare in modo sussidiario sui territori perché queste comunità rinascano”.

Dalle Caritas territoriali, intanto, arrivano segnali di speranza, ma anche di preoccupazione. A raccontarlo sono i delegati locali sulle pagine della rivista Italia Caritas “All’inizio dell’estate cominciano a rendersi visibili i primi segnali di una normalità che sembrava irrimediabilmente perduta, dopo l’epoca dell’emergenza assoluta - racconta Giorgio Pallucco delegato regionale Caritas Umbria -. La Caritas diocesana di Spoleto-Norcia, insieme alle delegazioni regionali “gemelle” (Caritas Umbria, Triveneto, Campania e Sardegna) si è resa presente in Valnerina fin da novembre 2016, con un presidio fisso. Le scosse hanno portato paura e distruzione, sgomento e solitudine. Ma in alcuni casi non sono riusciti a disgregare la comunità”. Ad Amatrice, invece, il futuro lontano dal terremoto ”sembra non arrivare mai”, racconta don Cesare Chialastri delegato regionale Caritas Lazio. “L’esposizione mediatica è stata massima per mesi, ma oggi la sensazione è che, troppo in fretta, su quei luoghi e su quei drammi, sia calato il silenzio”. Il 23 giugno, nei pressi della città dilaniata dal terremoto è stato inaugurato il nuovo centro della Caritas di Rieti. “All’inizio era una grande tenda - racconta Chialastri -. Oggi la moderna e ampia struttura è pronta a essere anche centro di aggregazione, sede anzitutto del centro estivo, animato dagli operatori di Caritas Rieti, dai volontari delle Caritas delle diocesi italiane gemellate e di altre diocesi”. Ad Amatrice, però, secondo Chialastri, bisogna riportare la gente e bisogna farlo in fretta "per riportare, ad Amatrice, la vita”. Nelle Marche, invece, preoccupa anche la dispersione della popolazione, anche ora che è passato un anno dal sisma. “Le numerose famiglie che, scegliendo la “autonoma sistemazione”, hanno spostato il loro abituale luogo di vita, spesso a grande distanza dal loro comune di residenza, costituiscono un cambiamento strutturale - racconta Angiolo Farneti delegato regionale Caritas Marche -. Sovente, infatti, in mancanza di decisioni chiare da parte degli organismi preposti su temi rilevanti (la ripartenza dei paesi e di un minimo di attività sociale ed economica, l’installazione di case provvisorie, le scuole), la via per ricominciare al più presto è sradicarsi e andare altrove”.

Per La Regina, però, il terremoto deve anche rappresentare “una possibilità, un’opportunità di ripresa di una vita sostenibile in quei territori”. Per far ciò, però, è essenziale dare un colpo d’acceleratore su due fronti: “togliere le macerie e spingere sulle casette, ma accanto a questo bisogna pensare alla ricostruzione definitiva - sottolinea La Regina -. Non vorremmo che le casette diventino il luogo definitivo. È importante che da parte delle istituzioni ci sia un progetto globale di ricostruzione delle strutture, delle frazioni e delle comunità che vogliono continuare a vivere in quei territori, ma non bisogna immaginare che bastino le case per ricostruire una comunità. Va fatto tutto col protagonismo delle realtà locali”. L’ultimo pensiero, ma non meno importante, va ai giovani. “Non si facciano fuggire da questi territori i giovani che possono rappresentare il punto di forza. Bisogna accogliere le loro idee per fare in modo che anche loro possano ritornare a vivere in questi territori”.(ga)

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