Tor Sapienza, la paura e quelle minacce che in Libia sono realtà quotidiana
ROMA – “Ci siamo nascosti nei bathrooms …bagni. Volevano dare fuoco alle vetrine del primo piano”: così quattro ragazzi bengalesi, ospiti del centri di accoglienza di Tor Sapienza, raccontano il terrore provato due sere fa, quando un gruppo di manifestanti minacciava di prendere d’assalto il centro. A raccogliere la loro testimonianza sono i Medici per i diritti umani (Medu), che in pochi tratti raccontano la storia di questi ragazzi, perché si capisca contro chi si indirizza tanto odio: “Sono quattro adolescenti da poco arrivati a Roma. Per giungere nel nostro paese hanno affrontato un viaggio lungo e molto rischioso per tutta l’Asia. Si sono poi imbarcati in un traghetto sulla linea Patrasso-Bari, nascosti sotto i tir, come tanti loro coetanei afgani e di altre nazionalità. Un viaggio abominevole nel cuore dell’Europa - riferisce il Medu - dove si rischia di morire asfissiati, nascosti negli anfratti dei camion, o di venire schiacciati dalle loro ruote. Così a Tor Sapienza, la disperazione di chi fugge è stata posta di fronte al profondo disagio di chi sta. A separarli solo una strada”.
Il contesto in cui tutto questo accade è quello di “un quartiere abbandonato al degrado, dove mancano i servizi più essenziali e la rabbia dei residenti è pronta ad esplodere”, spiega il Medu. Ma chi diviene bersaglio dell’esasperazione degli abitanti sono “giovanissimi migranti che fuggono dai loro paesi, rischiando la vita in viaggi pieni di pericoli e di violenza. Qualche sera fa – riferisce il Medu - una delle manifestanti gridava ‘Diamogli fuoco, due taniche di benzina, un cerino e liberiamo l'Italia’. Quella stessa persona – commenta l’associazione - certamente non immagina che la sua idea viene messa in pratica con zelo dai trafficanti di essere umani in Libia”. Come conferma la testimonianza di un giovane profugo, incontrato e aiutato da Medu in un fatiscente garage, a pochi chilometri da Tor Sapienza, in cui ha trovato riparo: “Ho assistito all’uccisione di due miei connazionali presso un centro di raccolta in Libia – ha raccontato ai medici - Uno è stato cosparso di benzina e incendiato vivo perché si grattava per un’infezione della pelle, un altro è stato colpito a morte con un attrezzo agricolo”.
Ma come si può porre fine a questo drammatica “guerra tra poveri”? Per il Medu, innanzitutto occorre correggere il tiro, rivedere alcune prassi e rettificare informazioni spesso infondate. Primo, è inconcepibile “confinare e ‘ammucchiare’ il disagio antico e nuovo il più possibile verso il raccordo anulare. E se possibile anche oltre”. Secondo, “non è accettabile l’uso strumentale della complessa questione dei profughi da parte di alcune forze politiche che pensano di ‘cavalcare la tigre’”. Terzo, occorre smentire la “disinformazione strisciante che arriva a paventare l’arrivo dell’Ebola con i migranti sbarcati sulle coste del nostro paese. Ipotesi del tutto inverosimile. La clinica mobile di Medu – conclude l’associazione - opera da tempo portando assistenza ai migranti sbarcati da poco in Italia e che vivono in condizioni precarie nella periferia di Roma. Tra di loro nessuna epidemia legata a temibili malattie infettive d’importazione quanto piuttosto patologie legate, oltre che alle violenze subite, alle pessime condizioni igienico-sanitarie in cui sono costretti a vivere durante il viaggio e nel nostro paese”.