Tor Sapienza, lettera aperta dei rifugiati: no alle divisioni con gli italiani
Roma - Alcuni dei minori stranieri non accompagnati stamattina sono tornati al centro di accoglienza di Tor Sapienza da cui erano stati trasferiti. La conferma arriva da Alessia Armini coordinatrice Sprar del centro Morandi di Tor Sapienza, dove, dopo le tensioni dei giorni scorsi, i migranti erano stati accolti. "Questa mattina i minori sono tornati autonomamente da dove erano stati spostati con la richiesta di tornare qui. Purtroppo non possono entrare, ora sono al comune per far ascoltare le loro richieste"."La nostra preoccupazione come staff è per gli utenti, ricordiamoci che parliamo di richiedenti asilo e rifugiati politici e di minori in tutela. - prosegue - Purtroppo sia giornali che telegiornali hanno fatto uscire volti non oscurati e questo li mette ancora più in pericolo".
"La tensione è altissima, siamo minacciati, non possiamo uscire, è pericoloso entrare, salti mortali per far arrivare i pasti, appuntamenti ospedalieri rinviati. - prosegue - Che sia chiaro che gli utenti stanno facendo da capro espiatorio per una guerra che non è la loro, dalla loro sono già scappati. Scusate, ma non ce la faccio veramente più". Preoccupazione anche per l'arrivo di Borghezio.
Intanto i rifugiati hanno scritto una lettera aperta in cui sottolineano che non vogliono "divisioni con gli italiani", non sono qui "per creare problemi" e hanno paura per la loro vita. "Tutti parlano di noi in questi giorni, siamo sotto i riflettori: televisioni, telegiornali, stampa. Ma nessuno veramente ci conosce- si legge nella missiva che loro stessi hanno diffuso in queste ore. - Noi siamo un gruppo di rifugiati,3 5 persone provenienti da diversi Paesi: Pakistan, Mali, Etiopia, Eritrea, Afghanistan, Mauritania, ecc...Non siamo tutti uguali, ognuno ha la sua storia; ci sono padri di famiglia, giovani ragazzi, laureati, artigiani, insegnanti, ecc..ma tutti noi siamo arrivati in Italia per salvare le nostre vite. Abbiamo conosciuto la guerra, la prigione, il conflitto in Libia, i talebani in Afghanistan e in Pakistan. Abbiamo viaggiato, tanto, con ogni mezzo di fortuna, a volte con le nostre stesse gambe; abbiamo lasciato le nostre famiglie, i nostri figli, le nostre mogli, i nostri genitori, i nostri amici, il lavoro, la casa, tutto. Non siamo venuti per fare male a nessuno".
In questi giorni, continuano i rifugiati, "abbiamo sentito dire molte cose su di noi: che rubiamo, che stupriamo le donne, che siamo incivili, che alimentiamo il degrado del quartiere dove viviamo. Queste parole ci fanno male, non siamo venuti in Italia per creare problemi, ne' tantomeno per scontrarci con gli italiani. A questi ultimi siamo veramente grati, tutti noi ricordiamo e mai ci scorderemo quando siamo stati soccorsi in mare dalle autorita' italiane, quando abbiamo rischiato la nostra stessa vita in cerca di un posto sicuro e libero. Siamo qui per costruire una nuova vita, insieme agli italiani, immaginare con loro quali sono le possibilita' per affrontare i problemi della citta' uniti insieme e non divisi".
È da tre giorni "che viviamo nel panico, bersagliati e sotto attacco: abbiamo ricevuto insulti, minacce, bombe carta. Siamo tornati da scuola e ci siamo sentiti dire negri di merda; non capiamo onestamente cosa abbiamo fatto per meritarci tutto cio'. Anche noi viviamo i problemi del quartiere, esattamente come gli italiani; ma ora non possiamo dormire, non viviamo piu' in pace, abbiamo paura per la nostra vita. Non possiamo tornare nei nostri Paesi, dove rischiamo la vita, e cosi' non siamo messi in grado nemmeno di pensare al nostro futuro". I rifugiati vogliono dire no "alla strada senza uscita a cui porta il razzismo, vogliamo parlare con la gente, confrontarci. Sappiamo bene, perche' lo abbiamo vissuto sulla nostra stessa pelle nei nostri Paesi, che la violenza genera solo altra violenza. Vogliamo anche sapere chi e' che ha la responsabilita' di difenderci? Il Comune di Roma, le autorita' italiane, cosa stanno facendo? Speriamo che la polizia arresti e identifichi chi ci tira le bombe. Se qualcuno di noi dovesse morire, chi sarebbe il responsabile?".
E ancora: "Non vogliamo continuare con la divisione tra italiani e stranieri. Pensiamo che gli atti violenti di questi giorni siano un attacco non a noi, ma alla comunita' intera. Se il centro dove viviamo dovesse chiudere, non sarebbe un danno solo per noi, ma per lintero senso di civilta' dellItalia, per i diritti di tutti di poter vivere in sicurezza ed in liberta'. Il quartiere e' di tutti e vogliamo vivere realmente in pace con gli abitanti. Per questo motivo non vorremmo andarcene e restare tutti uniti perche' da quando viviamo qui ci sentiamo come una grande famiglia che nessuno di noi vuole piu' perdere, dopo aver perso gia' tutto quello che avevamo". (DIRE)