Torino, per i maltrattanti “Telefono uomo” e terapie di gruppo. "Ma la recidiva è all'80%"
“Più della metà delle persone che chiamano attraversano momenti critici legati alla violenza”, spiega Poggi, “noi li invitiamo a un colloquio e se è il caso li inseriamo nel nostro gruppo di criticità, nato un anno fa, dove non accogliamo solo i maltrattanti ma parliamo di tutti i tipi di conflittualità”. Il lavoro del gruppo, che non sostituisce una psicoterapia ma spesso si affianca a essa, è di confronto e condivisione delle esperienze reciproche. Per gli uomini che hanno avuto comportamenti violenti, il percorso parte dall’ammissione del problema e della sua serietà. Come racconta Poggi, “bisogna soprattutto superare la negazione della violenza e costruire il riconoscimento della vittima: durante gli atti violenti è come se chi colpisce non vedesse la vittima. Sono momenti in cui viene meno il contatto emotivo, si attacca come per uccidere un nemico in guerra”. Una volta ammesso di avere causato un danno, i membri del gruppo cercano di recuperare un senso di empatia nei confronti della persona maltrattata. È da qui che possono iniziare a riposizionarsi, a discutere di uno stile di vita fondato su un nuovo sistema di valori.
Uno spazio di scambio e ascolto che fornisce a chi partecipa strumenti immediati per la gestione della rabbia, ma che intende soprattutto incidere sulla prevenzione della violenza a lungo termine. “Il periodo caldo subito dopo il fatto violento rende evidente il problema, ma i meccanismi che lo innescano tornano a manifestarsi” dice Poggi, “Sappiamo che l’80% dei maltrattanti che escono da centri di recupero commettono recidiva entro due anni. Per questo la nostra associazione lavora sulla continuità. Il gruppo per gli uomini in fase di criticità si riunisce una volta alla settimana per 6 mesi, poi i singoli partecipanti entrano negli altri gruppi non critici. Esplorano i cambiamenti della loro maschilità, creano delle relazioni e trovano un senso di appartenenza che li aiuterà a lungo”.
Comunità e dialogo, dunque, per una strategia di rinnovamento che guarda alle cause sociali della violenza senza togliere attenzione alle storie individuali. “Viviamo sicuramente in una cultura di prevaricazione maschile”, spiega Poggi, “ma non dobbiamo dimenticare che ognuno ha la sua esperienza alle spalle. Non si può giustificare la violenza come prodotto culturale, né etichettarla come devianza psichica: noi uniamo l’azione sul privato a quella sulla cultura che lo influenza, tenendo sempre presenti entrambi i binari”. L’associazione ora sta perfezionando i suoi percorsi per rieducare i maltrattanti, nell’ottica della promozione di un’armonia sociale che si basi sul rispetto tra i generi e su una risoluzione serena dei conflitti. (Esther Di Raimo)