Torino, seicento operatori dei musei in città per capire la disabilità
TORINO - Una domenica come tante, due genitori decidono di portare il figlio di 4 anni a visitare uno dei tanti musei presenti in Italia. Dal momento che il bambino soffre di una forma di autismo, nei giorni precedenti i due cercano di mettersi in contatto con il personale della struttura, in modo da capire se sia attrezzata per ricevere visitatori con esigenze particolari: la centralinista che risponde al telefono è molto gentile, ma non è in grado di fornire quel tipo d’informazione. Così, arrivata al museo, ben presto per la famiglia iniziano le complicazioni. Quel giorno, l’affluenza è più elevata del solito e dopo una ventina di minuti di coda il bimbo inizia a piangere e a percuotersi fisicamente. Osservando la scena, gli operatori di biglietteria non riescono a capire se si tratti di capricci o se ci sia un problema più serio: ma mentre i genitori del bimbo tentano faticosamente di calmarlo, un dei bigliettai si lascia comunque sfuggire che “non ci sono più i genitori di una volta”. In realtà, per evitare una situazione del genere, la coppia aveva perfino cercato di prenotare online: ma il museo non offre quel tipo di servizio. I guai, inoltre, non sono ancora finiti. Quando i tre riescono finalmente a entrare - dopo che in biglietteria hanno negato al bambino la riduzione disabili, perché non ha deficit visibili né porta con sé una certificazione - il primo ambiente da attraversare è una stanza molto grande, piena di luci e confusione, dalla quale il bimbo fugge terrorizzato, cercando una via d’uscita. Costretti a inseguirlo, i genitori si accorgono che gli sguardi di personale e avventori oscillano ormai tra la compassione e lo sdegno manifesto. E alla fine decidono di andarsene senza aver visto nulla, portandosi a casa un senso di avvilita frustrazione.
Nonostante si tratti di un “case history”, ossia di un episodio fittizio utilizzato in un contesto di didattica applicata, situazioni del genere non sono affatto rare in Italia. “Nel nostro paese - spiega Franco Tartaglia, psicologo e psicoterapeuta, esperto nei temi della comunicazione e della relazione d’aiuto - quando si parla di inclusione verso i disabili, si tende a pensare unicamente al problema delle barriere architettoniche, che pure in questi anni sono state ridotte moltissimo. Il punto è che in questo modo ci si è dimenticati di un altro tipo di barriere, quelle relazionali”. Tartaglia fa parte del team di tutor e formatori che da cinque anni sta aiutando gli operatori dei musei italiani ad affinare le proprie capacità d’accoglienza nei confronti delle persone disabili. Nato a Torino grazie alla collaborazione tra le fondazioni Paideia e Crt e denominato semplicemente “Operatori museali e disabilità”, dal 2012 a oggi il progetto ha formato più di 600 operatori, avvalendosi della presenza di psicologi, psichiatri e comunicatori, come pure di persone disabili e dei loro familiari, le cui esperienze sono servite a formulare una serie di casi di studio come quello presentato in apertura.
“Inizialmente - spiega Gabriella Da Milano, responsabile del settore musei di Crt - eravamo partiti per rispondere a una specifica richiesta di Palazzo Madama, e dunque il corso era rivolto esclusivamente al personale torinese. Ma nel giro di qualche mese, grazie al passaparola tra gli operatori, abbiamo iniziato a ricevere richieste da ogni parte Italia, e dunque abbiamo deciso di aprire anche al resto del paese”. Secondo Da Milano, la cifra distintiva del progetto, che ad oggi rimane un caso unico nel panorama italiano, “è rappresentata dal fatto che i corsi si articolano lungo un percorso via via più complesso, pensato per rispondere alle esigenze di tipologie di visitatori anche molto diversi”. “Il corso base - continua - che è quello da cui siamo partiti e resta tuttora il più impegnativo in termini di monte ore, ha come obiettivo quello di fornire un quadro più ampio possibile sul tema della disabilità e sulle varie implicazioni che i diversi tipi di disabilità comportano quando si parla d’accoglienza. In seguito, chi volesse approfondire alcuni degli aspetti emersi durante il primo ciclo di lezioni può frequentare i nostri workshop, che offrono una formazione sempre più specialistica”.
Sul piano didattico, tutto ciò si traduce in quattro corsi divisi tra livello “base” e “intensivo”, seguiti da una serie di seminari facoltativi sulle tecniche di progettazione delle attività didattiche e con percorsi laboratoriali per l’accoglienza delle persone disabili. Nel frattempo, Crt e Paideia hanno voluto raccogliere l’esperienza in un volume uscito lo scorso gennaio per Carocci editore: intitolato ancora “Operatori museali e disabilità”, il libro raccoglie i contributi di Fabrizio Serra, segretario generale della fondazione Paidea e di Silvio Venuti, docente di Psichiatria e Riabilitazione psicosociale all’università di Torino, oltre che del già citato Franco Tartaglia. Paideia e Crt lo hanno presentato ieri a Torino, nel corso di una giornata indetta per fare il punto sui primi cinque anni del progetto, cui hanno partecipato i rappresentati di oltre cento musei provenienti da tutto il territorio nazionale. “In fondo - conclude Tartaglia - quello di cui parliamo non è sempre un tema così complicato. A volte si tratta semplicemente di lavorare sulla sensibilità, la consapevolezza e la buona educazione: per fare un esempio, un operatore di biglietteria che interpelli direttamente un ragazzo con la sindrome di Down, invece di ignorarlo rinvolgendosi esclusivamente a chi lo accompagna, come non esistesse, è già a un buon livello di comprensione della materia. E quando arriva questo genere di consapevolezza, il resto del percorso si rivela spesso in discesa” (ams)