Tragedie migranti, le tre cose che l’Europa potrebbe già fare (se lo volesse)
ROMA – Protezione temporanea, visti per motivi umanitari e programmi di reinsediamento: di soluzioni pronte per l'uso per gestire le migrazioni forzate l'Europa ne ha diverse, ma nel vecchio continente i capi di governo si guardano bene dal parlarne e tanto più dall'adottarle. Tutto è lasciato alla discrezionalità degli stati, una volontarietà difesa ancora una volta nei giorni scorsi in occasione del vertice europeo di Bruxelles. A fare un “quadro giuridico” su ciò di cui l’Unione europea dispone già è Gianfranco Schiavone, dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione (Asgi). Un insieme di norme e direttive che potrebbero creare accessi regolari per gran parte dei flussi e mettere fine alle tragedie del mare, ma che restano chiusi nei volumi in cui sono scritte.
Protezione temporanea: la direttiva dimenticata
E' uno degli strumenti che, soprattutto con la guerra in Siria, potrebbe essere utilizzato dai paesi europei e invece, spiega Schiavone, "nessuno ne parla più". E' la direttiva sulla protezione temporanea recepita dall'ordinamento italiano con il decreto n. 85 del 2003. "Nasce pensando alle tragedie balcaniche - spiega Schiavone - ed è del 2001. Aveva come scopo quello di disciplinare un intervento comune degli stati dell’Unione nel caso di afflussi di massa".
La direttiva, infatti, "prevede che non ci sia un esame individuale delle domande d’asilo, ma una protezione collettiva data da un’evidente necessità di protezione sin dall’arrivo. Fermo restando il diritto individuale di chiedere una protezione più completa". Nel caso dei siriani, spiega Schiavone, non sarebbe necessaria una domanda di asilo e una lunga attesa per ottenere un primo permesso di soggiorno per motivi umanitari, ma "sarebbe dato immediatamente e poi ogni singolo beneficiario può presentare la propria domanda - aggiunge -, da persona che gode già di uno status di protezione, anche se temporaneo. È un meccanismo per accelerare le procedure per fornire una protezione". La direttiva, inoltre, prevede anche la possibilità di concordare fra gli stati la distribuzione del carico e "quindi se un siriano entra in Italia non è detto che ci rimanga ed è possibile che acceda ad un programma di ricollocamento all’interno dell’Unione europea".
Ma quante volte è stata applicata da allora ad oggi? "La risposta è mai", dice Schiavone. A frenare gli stati, la paura che poi si perda il controllo sugli arrivi. "Uno dei motivi per cui la direttiva non viene attivata - spiega Schiavone - è la paura che finisca per riguardare situazioni anche di migranti che non hanno diritto a nessuna forma di protezione". Tuttavia, il fatto che non è stata mai utilizzata fino ad oggi deve almeno sollevare qualche interrogativo. "Esiste una direttiva il cui oggetto è "afflussi di massa in caso di conflitto" e siamo circondati da conflitti – commenta Schiavone -. Se questa direttiva non viene applicata, le conclusioni sono due: o la direttiva ha qualcosa di sbagliato e la si deve rivedere, oppure viene alla luce la miseria della politica. Si è fatta una direttiva per situazioni che si stanno verificando e questa cosa viene tenuta nel congelatore. Non la si vuole utilizzare. Fatta e rimasta totalmente inattuata".
Reinsediamento
Si tratta di una formula che permette ai rifugiati di essere accolti in un paese terzo rispetto a quello di primo asilo dove non ci sono le condizioni per una integrazione o dove la protezione può essere a rischio. Anche per il reinsediamento, spiega Schiavone, esistono delle raccomandazioni e un piano europeo, tuttavia "è lasciato alla assoluta discrezionalità degli stati ed è usato pochissimo all’interno dell’Ue".
Secondo Schiavone, "può capitare che uno stato apra a delle quote di reinsediamento come per esempio per i siriani, ma gli altri non fanno nulla. E comunque le quote sono minime, quasi impercettibili rispetto all’entità del fenomeno". Quel che accade con i reinsediamenti, spiega Schiavone, è quello che accade per tutte le altre soluzioni di questo tipo. "È la logica di tutti contro tutti - spiega -. Chi non è interessato dagli arrivi non ha interesse a mettersi in un gioco nel quale gli viene assegnata una quota. Qui possiamo vedere la miopia della politica. Gli stati si comportano come se fossero bambini che guardano alla merendina del momento, ma non capiscono che è nell’interesse collettivo, loro e dell’Europa complessiva, avere dei criteri condivisi anche quando potrebbero imporre di fare delle cose che altrimenti non verrebbero fatte. Le persone si spostano e si muovono comunque".
Visti per motivi umanitari previsti da Schengen
Stavolta è il codice che regola le frontiere europee ad avere nel suo corpus normativo una soluzione praticabile. Anche questa usata col contagocce, e anche qui a piacimento dei singoli paesi. È l'articolo 5 che suggerisce la possibilità di visti per motivi umanitari. "L'articolo prevede che i cittadini di paesi terzi che non soddisfano una o più delle condizioni di ingresso (passaporto etc.) possono comunque essere autorizzate da uno stato membro ad entrare nel suo territorio per motivi umanitari, in virtù di obblighi internazionali - spiega Schiavone -. In alcuni casi sono stati utilizzati e l'Italia da questo punto di vista è avarissima, ma è chiaro che scatta di nuovo il gioco "se lo faccio io sono rovinato".
Anche in questo caso, aggiunge Schiavone, bisognerebbe mettersi d'accordo in Europa e adottare una interpretazione comune della legge. "Facciamo un esempio concreto - aggiunge Schiavone -: sono il fratello di un rifugiato siriano che vive già a Milano, sono in fuga in un paese terzo, ma non posso andare all'ambasciata italiana a chiedere un visto di ingresso per motivi umanitari, perché nella realtà, in assenza di indicazioni, tutto è rimesso alla generosità del singolo stato o del singolo funzionario. E la realtà è che se voglio arrivare a Milano devo prendere la barca. Punto". (ga)