Trieste città di arrivo e transito. “Così abbiamo superato le frontiere, 10 giorni nella foresta”
Il lungomare di Trieste
TRIESTE - I segni dei dieci giorni di cammino nei boschi si intravedono dalle fasciature che coprono i piedi, ma per Nadila e Shaick il peggio è passato: hanno affrontato la foresta e camminato per ore, accampandosi di tanto in tanto, solo per far riposare Dorina e Marina, le figlie di due e quattro anni. Ma alla fine sono riusciti ad arrivare in Italia. “Sai dove si trova questo posto? Devo andare qui” mi ripete Shaick, mostrando il palmo della mano su cui qualcuno ha scritto “Ventimiglia”. Sono partiti dall’Afghanistan tre anni fa: la figlia più grande è nata in Iran, la più piccola in Serbia. Poi per mesi sono rimasti bloccati a Bihac, in Bosnia, prima di tentare il game, il passaggio della frontiera con la Croazia. Così a metà agosto hanno radunato le loro cose, preso le bimbe, e si sono messi in cammino: “Glielo abbiamo raccontato come un gioco, ma non è stato comunque facile- dice Nadila-. Noi eravamo esausti, avevo paura che nella notte ci succedesse qualcosa, e loro, giustamente, volevano giocare. Sono stati dieci giorni difficili, ma ora siamo qui, vogliamo andare a Parigi. Gli amici che erano con noi ci hanno detto che in Francia ti danno l’asilo e che ti aiutano. Andiamo da loro”. L’ultima frontiera da superare sarà a Nord ovest, Shaick si è tinto anche i capelli di biondo per sembrare “europeo” dice sorridendo: “speriamo che non ci fermino, speriamo di riuscire ad arrivare”.
Nord est frontiera “invisibile”: gli arrivi sono pari a quelli via mare
Negli ultimi mesi gli arrivi a Trieste sono aumentati. Secondo i dati del Viminale, diffusi dal quotidiano Il Piccolo, nel 2019 gli ingressi in Friuli Venezia Giulia sono stati 5048, di cui 3204 rintracciati e 1844 hanno riguardato persone che si sono presentate spontaneamente. Di questi 3600 sono gli arrivi nella sola Trieste (2719 rintracciati e 888 presentati spontaneamente). I numeri, dunque, degli arrivi totali nel nord est sono pressoché pari a quelli via mare (5800 da gennaio a settembre 2019). Una “frontiera invisibile” su cui si sta iniziando a spostare il dibattito, finora rimasto solo a livello locale: il governatore del Friuli, Massimiliano Fedriga, dopo lo stop alla legge regionale arrivata dal primo Consiglio dei ministri del nuovo governo, rilancia il pugno duro lanciando l’allarme sui “10 e i 15 mila migranti irregolari che sono in Bosnia e che vogliono venire in Europa” . Intanto il 25 giugno scorso è stato siglato l’accordo per il pattugliamento congiunto dei confini tra Italia e Slovenia, proprio per bloccare il flusso dai Balcani. La sperimentazione, iniziata il 1 luglio terminerà il 30 settembre, prevede pattugliamenti misti 4 volte a settimana: ogni pattuglia è composta da quattro agenti, due italiani e due sloveni. Stando ai numeri sono 95 le persone intercettate nei due mesi in cui il protocollo è entrato in vigore. “L’accordo nasceva nel precedente governo dal bisogno del ministro Salvini di dimostrare un po’ i muscoli ma anche dalla volontà di contenere gli arrivi via terra e di aiutare la Slovenia a controllare i suoi confini - spiega Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio italiano di solidarietà (Ics) di Trieste -. Nell’accordo non si parla di riammissioni o respingimenti, con la consapevolezza che questi non sono ammissibili, ma di collaborazione tra i due paesi per la gestione dell’immigrazione irregolare”.
Famiglie bloccate sulla rotta balcanica (copyright: Eleonora Camilli)
Nei fatti, però, durante l’estate non c’è stata nessuna flessione negli arrivi. “Tra luglio, agosto e settembre abbiamo registrato i flussi più significativi, con un aumento che è ormai costante dall’inizio dell’anno: se durante la stagione invernale si registravano un centinaio di arrivi al mese, da maggio in poi si superano i 400 ingressi mensili - spiega - A questi vanno aggiunti i numeri dei transitanti che sfuggono alle statistiche ufficiali. Ma nonostante questo non siamo in emergenza: il sistema di prima accoglienza, comprensivo della struttura Casa Malala, si orienta intorno ai 1100-1150 posti disponibili. Nel corso dell’anno è stato necessario, dunque, un aumento drastico dei trasferimenti: all’inizio del 2019 erano pochi, mentre ora sono massicci”. Chi arriva spesso non vuole restare, proprio come Nadila e Shaick: “c’è un tasso altissimo di abbandono della prima accoglienza - aggiunge Schiavone - Le persone che arrivano vengono mandate nelle strutture ma le lasciano dopo 1 giorno o 2 per poter continuare il viaggio verso i paesi del Nord Europa”.
La sospensione dei diritti tra violenze e respingimenti
Chi arriva a Trieste porta addosso i segni del cammino sulla rotta balcanica, alle cicatrici sui piedi si aggiungono, spesso i segni delle violenze sui corpi: come raccontato a Redattore Sociale da decine di migranti incontrati nelle due cittadine bosniache di confine, Velika Kaldusa e Bihac, le autorità croate non fanno sconti, e per rimandare indietro le persone picchiano duro, letteralmente. A questo si aggiunge una pressoché completa sospensione del diritto d’asilo: le possibilità di chiedere asilo in Bosnia sono pochissime, in Croazia e Slovenia ancora meno. “Questo ce lo confermano anche i migranti che arrivano a Trieste-sottolinea Schiavone -. Qualcuno è stato registrato in Grecia o in Bulgaria, quasi mai in Croazia.
Segni di violenze su un migrante sulla rotta balcanica (copyright: Eleonora Camilli)
Nei Balcani c’è un sistema di asilo molto fragile e le misure messa in atto sembrano piuttosto voler favorire il transito: il sistema è deficitario e carente, non vengono neanche prese le impronte- sottolinea Schiavone -. A questo si aggiunge il desiderio delle persone di voler andare via e continuare il viaggio. Per questo la Croazia è oggi un grande buco nero, lo step più difficile del game che lascia le tracce sul corpo ma non sul sistema di registrazione ufficiale. Detto questo - aggiunge -Stando ai dati, in Croazia le domande d’asilo sono comunque aumentate, quindi una piccolissima parte viene registrata e inserita nel sistema. In generale la Bosnia fa da stato cuscinetto, chi riesce a passare vuole comunque arrivare in Italia. Senza fare sconti a questi stati, dovremmo anche chiederci se possiamo chiedere alla Croazia o alla piccolissima Slovenia di farsi carico di tutte le domande di protezione internazionale sulla rotta balcanica. Anche questi stati scontano le storture del Regolamento Dublino, se non ci fosse la regola del radicamento della competenza nel primo paese d’ ingresso non ci sarebbe motivo per la Croazia di fare quello che fa. I piani europei di ripartizione di cui si discute devono guardare anche a Est”.