Un antropologo tra i profughi dell’Hotel Splendid: "La mia ricerca oltre gli stereotipi"
CESENATICO (FC) – Tre giorni nel deserto, senza cibo né acqua, poi Adama, originario della Costa d’Avorio, sale su un gommone insieme ad altre 46 persone. Tutti hanno pagato molti soldi, tutti vogliono raggiungere le coste italiane, ma l’imbarcazione, danneggiata, si rovescia in acque tunisine. Solo in 7 si salvano: aggrappati ai pochi resti galleggianti, vengono risospinti in Libia dalla corrente. Tra loro c’è anche Adama. Quando Mauro Bucci gira il suo documentario “Hotel Splendid”, nell’omonimo hotel di Cesenatico, Adama è uno dei profughi ospitati dalla struttura, convertita in centro d’accoglienza straordinario. Ce l’ha fatta, si è imbarcato di nuovo e stavolta, dopo 2 giorni di navigazione, è arrivato in Italia, ma la strada da fare è ancora tanta. La burocrazia ha tempi dilatati, l’iter di valutazione per i richiedenti asilo dura lunghi mesi; Adama e gli altri li trascorrono con una insolita compagnia, un ricercatore di antropologia visuale che pian piano familiarizza con loro, per raccontarne le storie.
BOX “Il progetto per il film ‘Hotel Splendid’nacque 2 anni fa – racconta Bucci – quando, a seguito delle mie ricerche nell’ambito del cinema etnografico, decisi di portare quanto appreso sul piano pratico, realizzando un documentario basato su un’indagine di campo condotta nella città in cui ero cresciuto. Qui, infatti, tra opinioni contrapposte e anche pregiudizi, arrivò improvvisa e inaspettata l’alterità: diverse decine di migranti, per lo più africani, vennero alloggiati presso un hotel in attesa che le loro domande di asilo politico venissero vagliate da un’apposita commissione. Di profughi si parla spesso – continua Bucci – ma in molti casi non è chiaro chi siano o cosa succeda dopo lo sbarco”. E il filmmaker si è concentrato proprio su questi aspetti.
Adama lavorava nel negozio di famiglia, distrutto durante la guerra; il conflitto si è preso anche i suoi genitori, lasciandolo solo con 3 sorelle. Poi la decisione di spostarsi in Libia, per provare a guadagnare un po’ di denaro: un viaggio di 3 giorni in mezzo al deserto, su camion carichi di uomini e donne, senza cibo, senza acqua. Ma anche in Libia c’era la guerra e i libici distruggevano i pozzi di petrolio. Una bomba fa saltare in aria il dormitorio vicino a quello in cui si trova Adama, che decide di lasciare il Paese con un amico. L’Italia per lui è una possibilità in cui credere, un sogno da realizzare, un luogo dove poter imparare un mestiere per mandare dei soldi alle sue sorelle: Adama è proiettato verso il futuro, come molti altri ospiti dell’hotel.
Il documentario, autoprodotto e completato nell'arco di 2 anni, è stato realizzato a seguito di una ricerca di campo durata 12 mesi e basata sul metodo etnografico dell’osservazione partecipante, vivendo, cioè, assieme alle persone filmate. “Attraverso il mio film – conclude Bucci – ho cercato di superare il ritratto stereotipato e unidimensionale del migrante sbarcato in Italia perennemente afflitto dal peso del suo passato, per restituire un’immagine più vicina possibile a quanto osservato durante la mia ricerca: quella di una realtà sfaccettata, di persone capaci, nonostante la povertà di beni e di mezzi, di pensare con tenacia a un futuro, di costruire legami, di trovare tra sbagli e successi un percorso proprio in una realtà sconosciuta, di non rinunciare a sorridere”. (Erica Di Cillo)