20 maggio 2015 ore: 17:39
Immigrazione

Un intero paese contro il rimpatrio di 16 profughi. “Asilo negato arbitrariamente”

Fuggite da persecuzioni e violenze, da oltre un anno 20 persone del Mali erano ospitate in provincia di Biella. Ma solo quattro di loro si sono viste accettare la domanda. Il sindaco però non vuole starci. E ora denuncia il mancato rispetto delle procedure d’esame delle domande
Immigrati in fila per il rimpatrio

TORINO - La storia è, più o meno, la stessa di sempre. Un gruppo di uomini è costretto ad abbandonare il proprio paese, a causa di uno dei tanti conflitti che affollano il tratto di mondo che comincia dalla sponda sud del Mediterraneo. Arrivati in Italia, iniziano un percorso di accoglienza che, nei casi più sfortunati, può trasformarsi in una vera corsa a ostacoli. Per poi scoprire - ex abrupto, dopo un anno o due - che nel belpaese il diritto all’asilo somiglia sempre più a una lotteria. Perché le commissioni che esaminano le domande sono poche e oberate di richieste. E spesso lavorano in deroga alle stesse procedure che dovrebbero regolarne l’esistenza, come denunciano da mesi le associazioni per i diritti dei migranti.  La novità è che a denunciarlo, stavolta, è lo stesso sindaco del comune che li ospita. Che ora - mentre sedici dei “suoi” rifugiati si vedono negare, a quanto pare arbitrariamente, il diritto all’asilo - promette di salire sulle barricate insieme al resto della cittadinanza.

Il paese in questione è Pettinengo, frazione di Biella, Piemonte settentrionale: è qui che, nel marzo del 2014, si sono ritrovati venti profughi in fuga dal Mali.  Mamadou, Ibrahim, Aboubakar e gli altri arrivano dall’Azawad, nel nord del paese: nel 2012 sono finiti in mezzo al conflitto che ha contrapposto gli islamisti di Al Qaeda e Ansar Dine agli indipendentisti Tuareg e quindi al governo di Bamako. Prima di fuggire attraverso il Sahara, quasi tutti hanno assistito allo sterminio, alla persecuzione o alla tortura di amici e familiari, finendo in alcuni casi ostaggio dei gruppi armati. Quello che non sapevano è che anche in Libia li attendeva la stessa sorte: così, dopo un anno passato tra carceri, abusi e lavoro in condizioni di schiavitù,  hanno deciso di rischiare la vita ancora una volta, salendo su un barcone diretto a Lampedusa. Ora, dopo un anno nel biellese, sedici di loro rischiano di trovarsi a scegliere, da un giorno all’altro, tra la clandestinità e il rimpatrio. Ma il sindaco dem, Ermanno Masserano, sostenuto da gran parte della sua comunità, non vuole starci; quegli uomini li ha visti darsi da fare per un anno, per integrarsi col resto della cittadinanza. “Hanno spalato la neve - racconta - ci hanno aiutati a pulire parchi, strade ed edifici pubblici, e alcuni di loro sono anche andati a insegnare inglese e a fare sensibilizzazione nei licei. E io dovrei sbatterli in strada? Ma non ci penso nemmeno”.

Così, Masserano scrive alla senatrice Nicoletta Favero, che domani lo incontrerà insieme al resto della Giunta. E che nel frattempo ha presentato un’interrogazione al ministro dell’Interno Alfano, sottolineando quelli che il sindaco definisce i “punti oscuri” della vicenda; a partire dai criteri e dal metodo adottati dalle Commissioni territoriali per approvare o respingere una richiesta d’asilo.

“In Italia - spiega Masserano - le commissioni sono ancora troppo poche, e questo ormai è un dato di fatto. Sarebbe almeno il caso di capire come si lavora al loro interno, e di verificare il rispetto sostanziale delle procedure. Perché non è possibile che due storie identiche diano luogo ad esiti opposti: io qui ho due ragazzi che sono stati entrambi rapiti dai ribelli nella zona di Gao, e sono fuggiti in Burkina Faso dopo che le loro famiglie erano state sterminate. Peccato che solo uno dei due si sia visto riconoscere la protezione internazionale”. 

Nella lettera indirizzata alla senatrice Favero, Masserano denuncia come le commissioni sarebbero letteralmente costrette a “farsi in quattro” per far fronte a un numero di richieste sempre più sproporzionato.  “Ogni commissione - sottolinea - dovrebbe essere composta da quattro membri, ognuno dei quali con competenze specifiche e complementari: due rappresentanti del Ministero dell’Interno, uno degli enti locali e uno dell’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite (Unhcr). Il problema è che accade praticamente sempre che ogni caso sia esaminato da un solo membro; ma se la decisione non è concertata o discussa, il rischio di provvedimenti arbitrari aumenta”.  

Sarebbe così, quindi, che il diritto all’asilo diventa un giro di roulette; perché un rappresentante Unhcr tenderà probabilmente ad adottare un approccio diverso rispetto a un delegato del Viminale.  Secondo il sindaco, in effetti, la maggior parte delle domande verrebbe respinta sulla base di valutazioni soggettive:  “è sufficiente che i commissari ritengano il racconto poco credibile, - spiega - ma resta da capire come vengono valutati i racconti e chi ne decide l’attendibilità. La maggior parte delle testimonianze non sono infatti supportate da alcuna prova documentale: così,  chi tra i profughi ha più strumenti o è in grado di produrre una narrazione più articolata ottiene la protezione internazionale; mentre gli altri se la vedono negare, magari perché non hanno studiato o addirittura perché soffrono di maggiore timidezza. In questo modo, il giudizio diventa solo una ulteriore forma di violenza”. 

Resta da vedere se e come il Viminale deciderà di muoversi rispetto a quanto denunciato da Masserano e dalla senatrice Favero. Che l’esame delle domande d’asilo sia uno dei punti critici della filiera dell’accoglienza non è una novità; ma nella bozza di decreto appena approvata alla Camera non sembra esserci traccia di un incremento delle commissioni: al momento restano circa una per regione, indipendentemente dal numero di migranti accolti. In media, la procedura impiega oltre un anno, ma può arrivare a due nei casi peggiori. E soltanto nel 2014 la percentuale di dinieghi in tutto il Paese è passata dal 29 al 50 per cento (ams) 

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