Un orto africano a pochi chilometri da Bologna: il progetto dei richiedenti asilo
- VALSAMOGGIA (Bologna) - Si chiama “Orto africano” ma dista pochi chilometri dal centro di Bologna. Si coltivano patate, mais, frutta e verdura di stagione, e il gombo, che ha l’aspetto di un peperone verde ma è originario dell’Africa. Il nome gli è stato assegnato da chi lo cura e lo coltiva: gli ospiti del Cas, il centro accoglienza straordinaria per richiedenti asilo di Crespellano, in Valsamoggia, gestito dalla Cooperativa sociale Arca di Noè. Nei tre appartamenti della struttura, aperta a maggio del 2015, vivono attualmente 27 ragazzi, quasi tutti provenienti dall’Africa occidentale e dal Maghreb.
“È una palazzina con una grandissima area verde attorno”, spiega Valentina Tiecco, coordinatrice del centro per l’Arca di Noè. “Fin dall’inizio è stata utilizzata come un campetto da calcio, ma rimaneva comunque molto spazio libero. Poi durante alcune riunioni i ragazzi hanno avanzato delle proposte alternative: c’era chi avrebbe voluto piantare dei fiori, chi voleva delle sdraio per riposare, altri invece hanno pensato all’orto”. Subito dopo l’estate quindi, nei mesi di settembre e ottobre, si è deciso di comprare gli strumenti necessari, come vanghe e zappe. In un primo momento, però, sono rimasti inutilizzati.
L’occasione giusta per riprendere in mano l’iniziativa è arrivata a marzo di quest’anno, durante l’evento “Benvenuti in Valsamoggia”, dedicato al tema dell’accoglienza e organizzato da Cob Social Innovation di Monteveglio. In questo contesto, il Cob ha fatto incontrare i ragazzi di Crespellano con alcune associazioni del territorio, tra le quali anche Slow Food – Samoggia e Lavino con il progetto “10.000 orti in Africa”. Scoprendo così l’idea dell’orto africano, Slow Food ha deciso di sostenere la struttura partecipando alla spesa dell’impianto di irrigazione a goccia, che permette un risparmio idrico e una miglior irrigazione del terreno. Non solo: un operatore di Slow Food ha tenuto a Crespellano una giornata di formazione per spiegare ai ragazzi alcune tecniche di coltivazione.
A questo incontro si è aggiunto un ulteriore momento di formazione: un tirocinio con garanzia giovani, svolto da alcuni ospiti, presso l’azienda agricola biologica Piazza Martino, nei pressi del centro di accoglienza. Questo ha consentito loro di acquisire nuove competenze in materia agricola ed è stato il motore dell’attività dell’orto, che ha iniziato così a prendere forma: “L’azienda spesso buttava alcune piante di scarto, perciò Douglas, un ragazzo del Ghana, ha cominciato a portarle a casa e piantarle. Un po’ alla volta è stato seguito da tutti gli altri ragazzi, lavorando in gruppo e organizzandosi in modo indipendente. Noi operatori di fatto non abbiamo un ruolo specifico – spiega infatti Valentina Tiecco –, il progetto è tutto dei ragazzi che l’hanno sentito fin da subito come loro”.
Tutti i prodotti dell’orto sono poi raccolti e cucinati dagli ospiti nelle cucine dei loro appartamenti. “Si tratta di un esperimento molto importante perché funzionale all’inserimento lavorativo. Per questo vogliamo andare avanti con la formazione in collaborazione con Slow Food, dedicando ad esempio una giornata al tema della stagionalità. L’idea è che i ragazzi stessi possano diventare a loro volta formatori, anche per gli ospiti di altre strutture”.
Oltre all’aspetto sociale e professionale, l’orto coniuga un terzo fattore strettamente legato all’ambiente: “Questo orto dimostra – conclude la responsabile del centro – come si possa riqualificare un territorio altrimenti dismesso, come era quello di Crespellano. In questo modo anche il centro di accoglienza non è visto in maniera diffidente da parte degli abitanti della zona”. (Roberta Cristofori)