Un parco "soprattutto" per autistici. "No ai fanatici dell'integrazione"
ROMA - Doveva essere un parco per i ragazzi con autismo: non soltanto per loro, ma “sopratutto” per loro, che anche a 18 anni, alti e robusti, spesso amano saltare sui tappeti elastici, dondolarsi in altalena e lanciarsi da uno scivolo. Ma poi l'amministrazione pare averci ripensato e, durante l'inaugurazione, ha tradito le aspettative con uno “scivolone” imbarazzante: “è un parco anche per i ragazzi autistici”, ha detto l'assessore all'Urbanistica.
E questo ha fatto innervosire molto Giovanni Maria Bellu, giornalista e papà di Ludovico, che ha 17 anni ed è uno di quei ragazzoni. “Sarebbe bastato dire le parole giuste, per creare qualcosa di nuovo, qualcosa che manca e di cui i ragazzi come Ludovico avrebbero bisogno: un parco in cui non debbano sentirci ospiti, in cui nessuno li guardi con apprensione o con perplessità quando saltano e corrono, un parco in cui i loro giochi non rappresentino un pericolo per i bambini più piccoli. Bastava dire che questo parco era sopratutto per loro, così come avevamo concordato da tempo. Ma l'amministrazione, evidentemente, non se l'è sentita. E ha tradito le nostre aspettative”, ci racconta Bellu stamattina, ancora scosso dall'accaduto.
- E ancor più scosso dalle reazioni che la sua denuncia, lanciata sulle pagine di Sardinia Post, ha suscitato in rete, dove il dibattito si è acceso e non accenna a smorzarsi. Molti infatti non condividono la sua richiesta, né quindi la sua indignazione: un parco per autistici sarebbe un “ghetto”, dicono. Servono invece luoghi di integrazione, in cui bambini disabili e non giochino l'uno accanto all'altro. “Tutte belle parole – commenta Bellu – sbandierate da teorici dell'integrazione a tutti i costi: fanatici – e Bellu si scusa per la durezza – che non sanno cosa sia l'autismo. E vogliono costruire l'integrazione sulla pelle degli altri. Alcuni di questi hanno pure figli disabili: ma di una disabilità diversa, che non ha gli stessi problemi dell'autismo. Io so cosa vuol dire portare Ludovico al parco. E so che, ora che è grande fisicamente, anche se ha la testa di un bambino, in questi parchi non posso più portarlo. Ma siccome andare in altalena e sullo scivolo è ciò che ama di più, lo porto lontano, in campagna, o nei parchi dove nessuno va, perché sono scomodi o malridotti”. Questa è la realtà, insomma: “Genitori di bambini piccoli che guardano preoccupati o indignati me e Ludovico, temendo per l'incolumità dei loro figli”. Una realtà diversa dalla teoria: “La teoria di chi dice che devono essere loro, i genitori dei bambini piccoli, a portare via i figli se li ritengono in pericolo. Ma poi questo non accade mai, siamo sempre noi che ce ne andiamo. Allora perché insistere con questa integrazione a tutti i costi? Perché non dire che un parco pensato sopratutto, ma non soltanto, per i nostri ragazzi autistici farebbe bene a tutti?”. Sopratutto, perché chiamarlo “parco ghetto”, come stanno facendo alcuni critici della posizione di Bellu? “Allora dovremmo parlare anche di rampe-ghetto, di parcheggi-ghetto, d porte-ghetto. Invece no, accettiamo, chissà perché, il superamento delle barriere per le disabilità fisiche: ma di fronte a un luogo destinato a chi ha un problema neurologico, insorgono subito i fanatici dell'integrazione”.
Ma allora, domandiamo a Bellu, anche nella scuola l'integrazione non deve essere “a tutti i costi”? “Esattamente – ci risponde, esprimendo una posizione che, nel suo realismo, probabilmente susciterà sdegno ancora maggiore –. Scommetto che gli stessi che parlano oggi di parco-ghetto, criticherebbero e magari combatterebbero fino a farla chiudere la stanza in cui Ludovico, a scuola, trascorre alcune ore della sua mattinata, con l'insegnante di sostegno e l'assistente. Ma io benedico quella stanza, perché Ludovico non può stare in classe tutto il tempo: sarebbe nocivo per lui e per i sui compagni. E se quella stanza venisse chiusa, come forse auspicano i fanatici dell'integrazione, per noi sarebbe un problema serio”.
Ben vengano, quindi, luoghi e spazi “dedicati” all'autismo: luoghi separati, se necessario, o pensati e organizzati innanzitutto ai ragazzi autistici. “Ora, l'amministrazione di Cagliari, che pure è sempre stata molto accogliente e disponibile verso le nostre richieste, ha perso una prima occasione: quella di dire, semplicemente dire, che quel parco era soprattutto per i nostri figli. Siamo molto delusi e amareggiati. Ma speriamo che questa destinazione, che poi è anche una prospettiva culturale, sia recuperata successivamente, con l'installazione dei giochi: se saranno scelti in base alle esigenze dei ragazzi autistici e se tutto lo spazio sarà organizzato in base a queste, come in parte già è stato fatto, allora saremo ancora in tempo per ringraziare e rallegrarci. Speriamo che l'amministrazione abbia il coraggio di fare questa scelta” (cl)