17 gennaio 2018 ore: 12:27
Disabilità

Una petizione per mandare il figlio disabile al centro diurno: 50 mila firme raccolte

Iniziativa di Elena Improta, mamma di Mario, che a settembre è stato allontanato dal centro diurno perché non c'erano operatori disponibili a stare con lui. Da allora, Improta è in sciopero della fame. Il 28 dicembre ha lanciato la petizione, che lunedì 22 sarà consegnata alla Regione
Petizione Elena Improta mamma di Mario

Mario

ROMA – 50 mila firme in meno di un mese: segno che sono in tanti a riconoscere che Mario, 28 anni e una tetraparesi spastica, ha diritto a quel centro diurno che per troppo tempo gli è stato negato. E in tanti si ritroveranno, lunedì 22 gennaio, sotto casa di Mario e della Mamma, Elena Improta, per andare tutti insieme a consegnare le firme negli uffici della regione Lazio.

Mario e il centro diurno, un percorso a ostacoli. Mario ha una tetraparesi spastica dovuta a un'ischemia alla nascita: necessita di assistenza 24 ore su 24, mangia da solo, ma bisogna controllare che non si strozzi; va in bagno, ma non sa né pulirsi né lavarsi, non sa vestirsi da solo. E poi Mario, come tanti nelle sue condizioni, ha bisogno di spazi dove stare, giocare, ascoltare musica e imparare: per questo, non è sufficiente l'assistenza domiciliare indiretta, già attiva per 4 ore al giorno. Dopo il percorso scolastico e ben 7 anni di lista di attesa , Mario ha bisogno e diritto di frequentare un Centro Diurno ex art. 26. Nel novembre del 2015 la famiglia era riuscita a farlo inserire dalla Asl presso il Centro Don Guanella di Roma alla Camilluccia, ma il periodo di permanenza è stato breve. “Il 26 settembre 2017 lo staff del centro ci ha comunicato che per loro il progetto (tre ore e mezzo la mattina, dal lunedì al venerdì) si sarebbe concluso, perché era troppo complicato assisterlo, giocarci: non trovavano più operatori disponibili a stare con lui. Nonostante sia la Regione a dare soldi a questi Centri per disabili, lo hanno allontanato dicendoci 'tenetevelo a casa – denuncia Improta - . Adesso stiamo lottando perché gli venga riconosciuto nuovamente il diritto a queste 4 ore, scarse, di assistenza diurna in un nuovo Centro della Regione o in uno spazio socio educativo diurno del comune o del municipio”.

Lo sciopero della fame e la petizione. Per dare forza a questa richiesta, Elena Improta da allora, con brevi periodi di sospensione per motivi di salute, ha iniziato la sua protesta con lo sciopero della fame. “Considerate le difficoltà che vivono costantemente, nel silenzio, i ragazzi come Mario e le loro famiglie, il mio sciopero della fame non è nulla. Voglio risposte reali, non mi bastano più le promesse. Il diritto all’assistenza deve essere garantito mentre c’è chi ha rinunciato ormai a rivendicarlo. E’ anche per loro che protesto”. Alla protesta, però, affianca la proposta: “Ho assemblato una ipotesi di progetto per la realizzazione di un Centro Diurno socio-educativo nel Municipio 2, aperto ai giovani adulti con disabilità non inseriti in Diurni Sanitari ex art.26, eventualmente da replicare anche su altri territori del Comune di Roma. Ho preso contatti con le Cooperative del Municipio 2 per chiedere loro collaborazione e condivisione per trovare soluzioni sostenibili. Intanto aspettiamo una risposta dal Don Orione a cui abbiamo inviato moduli vari e visiteremo un altro centro. Mario continua a essere agli 'arresti domiciliari', assistito da operatori che la famiglia suo malgrado è obbligata a pagare! E in queste condizioni ci sono decine di ragazze e ragazzi su ogni territorio del Comune e della Regione”. Il 28 dicembre ha poi lanciato la petizione, che in meno di un mese ha raccolto 50 mila firme e sarà consegnata lunedì prossimo alla regione. Intanto, “io continuo la mia protesta non violenta – afferma Improta - Per Mario forse non cambierà nulla, ma spero possa finalmente essere modificato il decreto sull'accreditamento dei Centri Diurni ex art. 26, in modo tale che venga restituito potere alle Asl circa gli inserimenti dei nostri ragazzi ed eventuali sospensioni di progetti riabilitativi. Soprattutto spero che nascano in futuro queste chimere: i centri diurni di socializzazione per giovani adulti con disabilità, almeno uno per municipio! Luoghi dove intraprendere percorsi socio educativi post diploma 'dedicati'. Il mio sogno, comune ad altre famiglie, è che si creino degli spazi nei quali i nostri figli possano continuare a sviluppare le loro autonomie e a costruire il loro futuro anche occupazionale. Andare oltre il concetto di assistenza socio sanitaria che vede nei ragazzi come Mario solo dei pazienti da curare”. Negli ultimi giorni dell’anno Mario ha scritto con una sua operatrice: “Mamma è triste per me, sono andato via dal centro e ora devo stare a casa. Mamma è triste per me e non mi piace. Io voglio solo amici e stare in compagnia”. (cl)

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