Utenti psichiatrici come "libri aperti": i torinesi li sfogliano con il dialogo
TORINO - La prima volta che R. sentì le voci fu nel 2004. Rientrato a casa dopo un viaggio in Olanda, andò a sdraiarsi in camera, e di lì in avanti la sua vita non fu più la stessa. “Qualcuno prese a parlarmi dalla stanza accanto” ricorda. “Era la voce di un estraneo, per nulla simile a quella che uno sente nella testa quando gli capita di pensare intensamente. Sembrava arrivasse proprio dall’esterno. Disse di chiamarsi Francesco, e da allora non se n’è più andato”. R. non lo sapeva, ma quello era il suo primo incontro con la schizofrenia: la diagnosi la ricevette un mese più tardi, nello studio di uno psichiatra dove il padre lo portò “a tradimento”. I successivi dieci anni li ha passati a domare quella voce: “sfiancandola di domande - racconta - cercando di capire chi fosse e cose volesse. Finché ha smesso di svalutarmi, di insultarmi, e ha assunto una funzione quasi consolatoria”.
- R., 31 anni, è uno degli utenti psichiatrici che ieri pomeriggio, sotto un gazebo di piazza Carlo Alberto, hanno scelto di raccontarsi ai torinesi, letteralmente “come libri aperti”. L’idea era che una serie di persone si assegnassero un titolo, mettendosi a disposizione del pubblico, che per una mezzora avrebbe potuto “sfogliare” le loro vite attraverso dialogo e domande dirette: si chiama “Human library” ed è un format ideato nel 2000 da un Ong danese, che in questo modo voleva educare gli adolescenti al rispetto delle diversità. Tra i titoli in “catalogo” ieri, c’erano “Arrampicata: storia di un viaggio con mio figlio”, “Orto”, “I miei angeli” e “Schizofrenico?”, scelto da R. per raccontare la sua vicenda. “Il punto interrogativo - spiega - è dovuto alla mia riconosciuta capacità di ‘guarire’ da questa condizione. Quella voce oggi è relegata a uno spazio ristretto: ho scelto di ascoltarla per un massimo di dieci minuti al giorno, e sempre negli stessi momenti, la mattina appena sveglio e la sera, subito prima di addormentarmi”.
Nella sola Torino, a partire dal 2007, il format della libreria umana è stato adottato da almeno tre associazioni, che organizzano regolarmente “letture” pubbliche. Ma nessuno, finora, aveva mai pensato di coinvolgere gli utenti psichiatrici. A tentare l’esperimento - in occasione della Settimana della salute mentale - sono stati gli operatori dello sportello “Ti ascolto” e gli attivisti del Torino Mad Pride: nei mesi scorsi hanno cercato volontari tra utenti e operatori che frequentano i vari sportelli di aiuto psicologico sparsi sul territorio sabaudo. “La scorsa settimana - spiega Chiara Abbà, psicologa e coordinatrice del Mad Pride - abbiamo tenuto due di incontri di formazione, per preparare i nostri ‘libri’ a ciò che li aspettava durante l’evento. In realtà, sappiamo solo a grandi linee cosa diranno ai ‘lettori’: il nostro compito è vigilare sull’andamento degli incontri, impegnandoci a intervenire nell’eventualità in cui qualcuno dovesse trovarsi in difficoltà. Per il resto, tutto ciò che i partecipanti devono comunicarci è l’argomento della loro storia e il titolo che hanno scelto di dargli”.
A raccontarsi, per la cronaca, qualcuno tra i “libri” di ieri c’era già abituato: qualche anno fa, ad esempio, fu proprio R. a fondare il movimento degli Uditori di voci, un gruppo di auto aiuto che a Torino riunisce utenti ed ex utenti che hanno vissuto l’esperienza della schizofrenia e delle allucinazioni uditive. Ma per altri, l’incontro era una prima assoluta. M., ad esempio, ha scoperto nel ’94 essere affetto “da gravi problemi psichiatrici”, della cui natura preferisce però non parlare. Parla invece dei dieci anni trascorsi in una comunità psichiatrica, “dove non ero un recluso”, vuole specificare. “Avevo ancora i miei amici - ricorda- andavo alle scuole serali, ho preso il diploma da perito elettrico e ho lavorato nell’automazione industriale. Ora vado all’università, mi sto laureando in Comunicazione interculturale”. E c’è anche chi, come Marcella, ha sperimentato il tema della salute mentale dall’altro lato della scrivania, quello degli operatori. “Sono una psicologa - spiega - ma ho capito cosa sia davvero la follia solo l’anno scorso, dopo tre anni di pratica. Ho iniziato a comprenderlo prendendo parte alla ‘Repubblica dei matti’, l’occupazione di un ex centro di salute mentale da parte del Torino mad pride. È stato il contatto diretto con gli utenti, in una situazione di quotidianità, a farmi capire che la ‘follia’, in fondo, è una condizione molto più normale di quanto si immagini. Per questo, credo sia molto importante quello che sta accadendo oggi”. (ams)