Venezuela, giornalista rifugiata in Italia: "Un incubo, il periodo più buio"
ROMA – Le proteste contro il presidente Nicolas Maduro e il referendum da lui voluto e tenutosi il 30 luglio con lo scopo di eleggere una nuova assemblea costituente, con l’opposizione che grida al colpo di Stato, attraversano tutto il Paese e gli scontri con le forze di polizia e con l’esercito hanno già provocato almeno 10 vittime tra cui 2 minorenni, un militare, il leader dell’opposizione Ricardo Campos e il candidato all’Assemblea José Felix Pineda. Circa 450 le persone incarcerate per aver partecipato alle proteste. Una situazione esplosiva, con l’opposizione che non ha partecipato alla consultazione, rifiutando qualsiasi patto o trattativa con il governo e con Maduro. Opposizione che, a sua volta, aveva organizzato un referendum per la difesa dell’ordine costituzionale e per evitare di giungere alla convocazione di una costituente che avrebbe certamente avvantaggiato il governo. Il 16 luglio, la chiamata alle urne – un vero e proprio plebiscito organizzato in tempi molto brevi dall’opposizione – che aveva portato a un risultato pressoché unanime contro il governo e il presidente. Due settimane dopo, le elezioni per la costituente si sono comunque tenute.
“È un incubo, questo è il periodo più buio della storia del Venezuela”: non ha dubbi Melanny Hernandez R., giornalista venezuelana residente a Roma, via dal suo Paese da 5 anni e in Italia da 3 come rifugiata. A causa della crisi costituzionale, in Venezuela non è più tornata, ma la sua famiglia è ancora nel Paese sudamericano. Essere intrappolati in una situazione inimmaginabile, soprattutto per il Venezuela, patria del Libertador Simón Bolívar e culla di una lunga tradizione democratica: questo è quello che percepisce Melanny e che sente lei stessa, pur trovandosi in Italia. “Ora quello che sento di più è un sentimento di impotenza. La nostra costituzione era ancora uno strumento potente che l’opposizione aveva in mano contro Maduro e la sua dittatura – dichiara la giornalista –. Adesso lui e tutti quelli che lo fiancheggiano avranno la strada spianata per un regime ancora più duro”. Cosa si può fare per risolvere la situazione? Melanny sconsiglia un intervento diretto della comunità internazionale, che potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio: Maduro e il governo potrebbero sì dimettersi, ma potrebbero anche considerare le proteste popolari e dell’opposizione come un tentativo della comunità internazionale di rovesciarli. A quel punto il governo, forte di un esercito controllato direttamente e che agisce al di là dei limiti costituzionali – uno dei punti del referendum era se riportare o meno le forze armate sotto il controllo della carta fondamentale venezuelana – potrebbe optare per un nuovo giro di vite e per un inasprimento della repressione, aggravando ancora di più la posizione dell’opposizione.
“C’è tanta paura, ma anche tanta rabbia. Questa situazione non finirà presto – Melanny ne è convinta –. Già in marzo, quando l’Assemblea nazionale era stata depauperata dei suoi poteri legislativi c’erano state molte proteste. Ora è peggio: Maduro ha instaurato un regime totalitario che non vuole lasciare il potere anche se il referendum del 16 luglio ha dimostrato che i venezuelani non lo appoggiano”. Ma ci sono delle regie occulte nella dittatura che Maduro sta costruendo? Il governo del Venezuela, dichiara la giornalista, ha legami stretti con il narcotraffico, ma a parte questo i responsabili sarebbero solo l’attuale presidente, il governo e i loro alleati: “Non ci sono mandanti esterni che guidano Maduro, cercarli sarebbe una banalizzazione di un problema che invece è già gravissimo”. È il periodo più buio del Venezuela, ripete: “Una repressione così grave dei diritti umani non si era mai vista neanche con Chávez, e lui non era un santo: la redazione dove lavoravo è stata chiusa proprio perché si opponeva alla sua presidenza”. (Simone Lippi Bruni)