17 giugno 2015 ore: 12:29
Immigrazione

Viaggio nell'hub dove i profughi si sentono accolti

Dove una volta sorgeva il Cie di Bologna, oggi c’è il centro regionale dove arrivano i migranti che spettano all’Emilia-Romagna. In un anno e mezzo ne sono transitati quasi 6.800. Ad accoglierli c’è anche Ousmane, maliano, arrivato su un barcone e oggi operatore del centro
Immigrati in fila con abiti colorati

BOLOGNA – “Queste persone non sono sporche, come tanti dicono. Anzi, si prendono cura degli spazi come fosse casa loro: lavano i vetri e i pavimenti, fanno il bucato. Fanno come tutti gli altri cittadini italiani”. Ousmane Soukouna è un operatore dell’hub regionale di Bologna, il centro di prima accoglienza dove arrivano tutti i migranti che spettano alla Regione. Ousmane, oggi, è un operatore della struttura ma, fino a pochi anni fa, era un migrante come quelli che oggi si scaldano al sole sulle panchine di via Mattei. In fuga dal Mali, attraverso la Libia, è arrivato su un barcone in Italia. Prima la Sicilia, poi l’Emilia-Romagna e l’incontro con alcuni ragazzi delle cooperative chiamate a gestire l’accoglienza, che in lui intravedono un talento particolare. Quel talento che l’ha portato a essere, oggi, uno degli operatori più amati e stimati dell’hub. “I ragazzi fanno diverse attività: si dedicano a piccoli lavori di manutenzione, tengono in ordine la mensa. Giocano a biliardino, a calcio o a basket. Soprattutto, seguono le lezioni di italiano. Sono la parte più importante: se vuoi integrarti devi parlare la lingua almeno un po’”. E mentre lo racconta, decine di ragazzi si accalcano in una piccola stanza in cui un giovane senegalese, arrivato a Pisa diversi anni fa, spiega loro i fondamenti dell’italiano, concentrandosi sulle frasi che più possono tornare utili. Parte dall’arabo, passa all’inglese e arriva all’italiano: una lezione in 3 lingue. Davanti a lui, le mani sono intente a prendere appunti, ma le sedie non bastano per tutti. Così, c’è chi ascolta dalla finestra, con il taccuino appoggiato sui bidoni della raccolta differenziata. Al corso non partecipa nessuna donna: nella struttura sono poche, mogli o fidanzate. Stanno tra di loro, chiacchierando tra uno stendibiancheria e una montagnola di panni da ripiegare. 

L’hub, oggi, accoglie poco più di 300 persone (dato all’11 di giugno): tutti i richiedenti asilo che transitano dall’Emilia-Romagna passano da qui. Dal 6 febbraio 2014 al 10 giugno 2015 nella Regione sono stati trasferiti 6.794 migranti. All’11 giugno, se ne contano 3.585, di cui 921 accolti nella provincia di Bologna, 415 in quella di Modena. Un turn over massiccio, che obbliga gli operatori del centro a non perdere un minuto: esattamente nel momento in cui i migranti mettono un piede nel centro, comincia il percorso. “Arrivano qui con degli autobus – spiega Alessandro De Scisciolo, operatore del centro –. Diamo loro il benvenuto facendoci raccontare un po’ chi sono. Chiediamo le generalità per l’identificazione, diamo abiti nuovi e un kit sanitario antipidocchi e antiscabbia”. “Quando arrivano diamo anche un’informativa legale sulla procedura d’asilo – aggiunge Margherita Toma, coordinatrice del centro –. Spesso sono poco informati sui loro diritti e doveri, e noi proviamo a dar loro indicazioni utili”. Al momento, tutti i ragazzi ospitati hanno tra i 20 e i 25 anni.

L’accoglienza avviene in uno dei locali più grandi della struttura: dietro una grande scrivania, sorride una signora di origini indiane. Ha un’esperienza pluriennale su questi temi, e parla diverse lingue. Dietro un separé, due ragazzi sfruttano il Barber Shop: rasoio alla mano e cresta in testa, stile calciatori. L’area di fianco ospita la mensa: una decina di migranti è alle prese con la pulizia dei vetri esterni e interni, mentre asciuga il pavimento. Olio di gomito, sotto lo sguardo vigile ma divertito di Francesca, la signora che coordina tutte le attività di pulizia. Nella sala mensa, i nomi dei mesi e delle stagioni in arabo, inglese e italiano, come tutti i cartelli dell’hub. Lì vicino un paio di camerate: poche decine di letti, a disposizione degli ultimi arrivati. Di fianco, le stanzine più piccole: nel distribuire i posti, si cerca sempre di tenere insieme gli amici e i parenti. “Non è facile, ma cerchiamo di non rompere i nuclei familiari o le persone che sono arrivate sin qui insieme. È un lavoro certosino, ma crediamo sia giusto fare così – racconta un’operatrice –. Troppo spesso queste persone sono considerate numeri, numeri che aumentano a centinaia. Per noi sono prima di tutti uomini e donne, da trattare secondo ben precisi diritti e doveri: il sistema chiede che per ognuno di essi si valuti un percorso specifico, che tenga conto delle singole volontà e possibilità”.

“Per questo lavoriamo molto sui ricongiungimenti, anche nel poco tempo che abbiamo a disposizione – spiega Bianca Lubreto, vice capo Gabinetto della Prefettura di Bologna –. Bologna ha un caso unico in Europa: a giorni ricongiungeremo un siriano arrivato in Italia con un parente sbarcato a Malta, entrambi dublinanti. Ne siamo felici”. Sullo sfondo, quanto sta succedendo a Ventimiglia ai ragazzi bloccati sulla frontiera. Negli occhi, il mezzanino della stazione di Centrale di Milano o la sala romana di Tiburtina: “Ad aprile abbiamo avuto moltissimi arrivi, ma siamo riusciti a gestirli al meglio. Escludo che a Bologna possa succedere qualcosa come quanto sta accadendo nelle altre città: qui tutti abbiamo lavorato fianco a fianco. Istituzioni, forze dell’ordine, cooperative, Azienda Usl. Se non ci fossimo uniti, non avremmo ottenuto questi risultati”. 

Certo, di lavoro da fare ce n’è: le mura della struttura avrebbero forse bisogno di una rinfrescata. E le sbarre sono ancora tante. La struttura, infatti, sorge dove una volta c’era il Cie (Centro di identificazione ed espulsione), chiuso la scorsa primavera. Tanti cancelli sono stati levati, oggi si può passeggiare tranquillamente ovunque si voglia, ma altri restano. Come quelli che fanno da perimetro ai due campi sportivi, uno per il calcio, uno per il basket. Pur essendo l’una, con il sole a picco, una decina di ragazzi si esibisce in uno show fatto di palleggi, colpi di testa, punizioni e parate. Tra di loro, due giovani che vogliono raccontarci la loro storia. “Ho 25 anni, vengo dal Senegal – racconta, mentre tra le mani giocherella con un peluche –. Sono fuggito, e sono arrivato in Libia. Lì lo scorso novembre mi hanno rapito, e sono finito in prigione. Mi hanno picchiato, mi hanno detto che avrebbero smesso solo se avessi accettato di arruolarmi nell’esercito. Ma io in volevo: così mi hanno messo su un barcone e sono arrivato in Sicilia, poi sono stato trasferito a Bologna. Non ho più una famiglia: in Senegal i miei genitori sono morti, e adesso mi ritrovo completamente solo al mondo. Per questo voglio restare in Italia, è il primo paese che mi ha accolto e l’ha fatto con gentilezza. Voglio ricostruirmi una vita qui: in Senegal ero un uomo d’affari, potrei rimettermi in pista. Parlo 9 lingue: potrebbero tornarmi utili”. Vicino a lui, un ragazzo coetaneo: “Vengo dalla Nigeria. Per arrivare qui ho viaggiato dal Niger alla Libia, dalla Libia all’Italia. Ho solo uno zio ancora vivo, ma non so dove sia, e lo sto cercando. Anche a me piacerebbe restare a Bologna: in Libia mi picchiavano, là non vogliono vedere facce nere. Qui, invece, mi trattano bene: ora mi vedi così, ma quando sono arrivato ero messo male. Mi piace l’Italia, mi piace questa città: mi sento accolto”. (Ambra Notari)

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