Viaggio nella tendopoli dei migranti dove i volontari non vanno più
ROSARNO - La tendopoli di san Ferdinando - cittadina del reggino che dal 2012, dopo la rivolta dei Rosarno, ospita i migranti africani che lavorano nelle campagne della piana di Gioia Tauro - è proprio nel cuore dell’area industriale che ormai di “industriale” ha solo il nome. Il viale d’ingresso di quello che doveva essere un insediamento produttivo modello, al centro della Calabria e accanto al porto di Gioia Tauro che è il terzo d’Europa, dà subito l’idea del degrado umano e ambientale di tutta la zona.
Sul marciapiede del viale, sedute in fila una dopo l’altra, tante ragazze in attesa di clienti. Sono tutte immigrate dell’Est europeo, straniere “a buon prezzo” come a buon mercato è la forza lavoro degli oltre mille lavoratori che occupano la tendopoli qualche centinaio di metri più avanti delle prostitute ragazzine, esposte “in vetrina” all’inizio di quella che è divenuta l’area dello “sfruttamento multietnico e multirazziale”. La tendopoli è un continuo viavai di auto che riportano all’accampamento i migranti dopo una giornata di duro lavoro negli agrumeti della piana. Avvicinarsi e cercare di parlare con qualcuno di loro è un’operazione di delicata diplomazia tra chi non ne vuole proprio sapere di raccontare il suo calvario quotidiano e tra chi ti si pianta davanti, ti guarda minaccioso e non smette finché non te ne vai. Ma poi alla fine qualcuno decide che a scambiare due chiacchiere non c’è niente di male, l’importante è rimanere a distanza dalle tende dove si sta svolgendo la vita quotidiana di molti come la preparazione del pranzo con degli enormi pentoloni piazzati su dei tripodi sotto i quali arde della legna; e, ancora, il lavaggio degli indumenti in bacinelle con l’acqua dei bidoni.
L’italiano è ancora una lingua ostica e astrusa, ma anche questo ostacolo viene superato e in francese Fouseri Zampou della Costa d’Avorio e Bance Harouna del Burkina Faso, cominciano a parlare di sé. “Noi siamo amici di tutti, noi non facciamo male a nessuno, con la gente di San Ferdinando non abbiamo problemi”. E’ la prima cosa che vuole mettere in evidenza Fouseri che non si lamenta nemmeno del fatto che nessuno più vada alla tendopoli per dare un aiuto: i volontari infatti dopo gli episodi di scabbia e Tbc si sono allontanati. “In Italia c’è la crisi, anche qui a San Ferdinando non c’è lavoro. L’unica occupazione rimasta è quella della raccolta degli agrumi”. Insomma in tempi difficili come quelli che stiamo vivendo, ci si deve accontentare e comunque è meglio stare in Italia, in Calabria, piuttosto che ritornare nel proprio paese d’origine. “No, la guerre, no! La guerre, no!”, esclama Bance Harouna che non ci pensa nemmeno a fare i bagagli e a ripartire per il Burkina Faso “dove si vive male per la guerra e la carestia”. I suoi occhi neri e grandi, diventano piccoli e lucidi, i ricordi della sua terra sono troppo amari e terribili. Bance i suoi sogni li vuole realizzare lontano dalla sua patria, è disposto a sopportare sacrifici e dure ore di lavoro, ma certo non vuole più tornare indietro. Anche Fouseri che mentre parla continua a sorridere e a gesticolare come se ti conoscesse da sempre, non intende minimamente ritornare sui suoi passi; rimanere in un paese straniero è un’impresa ardua ma è sempre meglio che rientrare in Costa d’Avorio. I due giovani, entrambi al di sotto dei trent’anni, raccontano di non avere più parenti nei loro rispettivi paesi; nonostante la loro vita non sia facile, non nascondono il loro desiderio di volere una famiglia, una casa, di fare un lavoro diverso da quello del raccoglitore di agrumi.
Fouseri, per esempio vorrebbe fare il commerciante per spostarsi sempre e stare sempre in contatto con la gente. Tanti sogni che per il momento rimangono nel cassetto, idee e progetti che sono simili a quelli di tanti ragazzi della loro età. E’ sorprendente il fatto che questi giovani riescano ancora a sognare e a pensare in positivo, nonostante il dramma esistenziale vissuto sulla propria pelle. L’amabile conversazione finisce tra strette di mano, sorrisi e tanti ‘merci merci’; nello sguardo di Fouseri e Bance corre veloce un lampo di ottimismo e di fiducia, quel filo sottile che permette a loro e a tutti gli altri di andare avanti aggrappandosi a chiunque e a qualunque novità, nella speranza che finalmente qualcosa cambi. (msc)