Vincent Lambert, il Comitato Onu ferma la Francia: "Fateci analizzare il caso"
ROMA – Non privare Vincent Lambert dell’idratazione e dell’alimentazione che gli viene oggi garantita finché il suo caso non sarà analizzato nel dettaglio: è questa la decisione che il Comitato delle Nazioni Unite per i diritti delle persone con disabilità ha notificato alla Francia in relazione alla vicenda dell’uomo, da 11 anni tetraplegico e in stato di minima coscienza in seguito ad un incidente stradale, e rispetto al quale la magistratura francese aveva autorizzato i medici a sospendere idratazione e alimentazione.
Quella che di fatto è una “misura precauzionale” è stata presa – secondo il lessico normalmente utilizzato dal Comitato incaricato di monitorare la corretta attuazione della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità - “per prevenire danni irreparabili alla vittima della presunta violazione", secondo quanto stabilito sia dal trattato in sé sia dal Protocollo opzionale aggiuntivo, che la Francia ha ugualmente sottoscritto. Il Comitato, composto da numerosi esperti della materia (molti sono essi stessi delle persone con disabilità), avrà così modo di analizzare il caso. Se il governo francese volesse contestare la misura precauzionale, il regolamento del Comitato prevede la possibilità, per l’esecutivo, di presentare all’organismo Onu un documento che illustri gli argomenti per i quali la misura preventiva dovrebbe essere ritirata (articolo 64.3). E’ una facoltà di cui, come vedremo fra breve, il governo francese intende avvalersi.
La notizia segna in ogni caso un colpo di scena nella vicenda del cittadino francese ricoverato da lungo tempo all’ospedale universitario di Reims: su richiesta dell’équipe medica, appoggiata dalla moglie Rachel e da cinque fratelli, prima il Tribunale e poi il Consiglio di Stato (entrambi per due volte, prima nel 2015 e ora nel 2019) hanno disposto l’interruzione dell’alimentazione e dell’idratazione, identificati come “atti inutili e sproporzionati”, secondo il dettato della legge legge Clays – Leonetti, che in Francia regola i casi di fine vita. Decisioni che sono state confermate anche dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, a cui si erano appellati i genitori dell’uomo, Pierre e Viviane, che (appoggiati anche da un fratello e una sorella) chiedono invece che al figlio non venga negato il nutrimento e che anzi sia trasferito presso una struttura specializzata nella riabilitazione di persone in stato vegetativo e di minima coscienza.
Il ricorso al Comitato Onu si basa sul fatto che l’assenza di cure specialistiche, così come a maggior ragione la negazione di quei trattamenti vitali che lo porterebbero in poco tempo alla morte, costituirebbe una violazione delle disposizioni della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, norme che vietano gli abusi, il trattamento inumano e degradante, e prescrivono (art.25) l’obbligo degli Stati di fornire "alle persone disabili i servizi sanitari di cui hanno bisogno specificamente a causa della loro disabilità", proibendo altresì "qualsiasi rifiuto discriminatorio di fornire cure mediche o servizi o cibo o liquidi a causa di una disabilità”. Una fattispecie, quest’ultima, che pare ricalcare esattamente l’oggetto del contendere.
LA MINISTRA: “NON SIAMO VINCOLATI”. La vicenda sta avendo in queste ore un nuovo e inatteso risvolto politico, con interventi polemici fra il governo e i legali della famiglia di origine. Interpellata direttamente sul caso da un canale televisivo, infatti, la ministra della Sanità Agnès Buzyn ha affermato che dal punto di vista legale “tutti i ricorsi” sono stati esperiti presso gli organi giurisdizionali nazionali ed europei e che “al momento l’équipe medica responsabile di questo dossier ha la facoltà e il diritto di fermare le cure”. Anche se “non siamo legalmente vincolati” dal Comitato Onu per i diritti delle persone con disabilità – ha argomentato la responsabile del dicastero della Sanità – “prendiamo comunque in considerazione ciò che l'Onu afferma e risponderemo”, anche perché i componenti del Comitato, “che si occupa di persone con disabilità e non di persone in uno stato vegetativo, non hanno al momento nient’altro che la versione dei fatti dei genitori”.
I LEGALI: “DICHIARAZIONI IRRESPONSABILI”. Parole che hanno provocato l’immediata replica dei legali che assistono i genitori, che senza mezzi termini parlano di “osservazioni irresponsabili che nascondono l'imbarazzo del Ministro della Salute di fronte a quel fallimento etico, medico, umano e giudiziario che è diventato il caso Lambert”. “Contrariamente a quanto pensa Madame Buzyn – scrivono gli avvocati dei genitori - i ricorsi legali non sono affatto esauriti ed è molto imprudente affermare che l’équipe medica responsabile abbia il diritto di fermare idratazione e alimentazione. A parte il fatto – affermano gli avvocati - che “Vincent Lambert non è un ‘dossier’, la ministra fa ricadere un rischio penale sul personale dell’ospedale di Reims facendo loro credere che l’alimentazione e l’idratazione di Vincent Lambert possano essere interrotte”. “E’ orribile sentir dire che Vincent Lambert non sarebbe una persona disabile: egli è invece doppiamente disabile, avendo un handicap cognitivo e comunicativo, oltre che motorio. Le parole del ministro secondo cui la Francia non è legalmente vincolata da questo Comitato costituiscono un oltraggio nei confronti dell’organismo internazionale specializzato nella protezione dei diritti delle persone con disabilità: ricordiamo al ministro che il Comitato per i diritti delle persone con disabilità, sotto l’egida dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, è stato creato da una Convenzione internazionale che la Francia ha ratificato il 10 febbraio 2010, accettando liberamente di sottomettersi agli obblighi risultanti e alle decisioni del Comitato incaricato di garantirne il rispetto e la corretta applicazione. In conformità con il diritto internazionale, quindi, le misure provvisorie richieste dal Comitato sono giuridicamente vincolanti”.
Dal canto loro, anche cinque neurologi (responsabili di alcune unità sanitarie del paese dedicate a pazienti con coscienza alterata), che appoggiano i genitori di Lambert, esprimono profondo stupore per le dichiarazioni della ministra della Sanità sottolineando come i pazienti con coscienza compromessa siano “persone con disabilità nel senso medico e nel senso legale del termine”: essi infatti – spiegano - hanno “limitazioni motorie e intellettive derivanti dal danno cerebrale acquisito a causa di un incidente o di un ictus”. “Le loro condizioni – aggiungono – possono rimanere stabili, senza rilevanti interventi medici, per molti anni, durante i quali non sono in fin di vita. Il loro decesso si verifica di solito a seguito di una complicazione acuta, che può (quella sì, ndr) essere soggetta a limiti terapeutici, in conformità con la legge Leonetti-Claeys”.
Ricordando alla ministra della Sanità la definizione di disabilità così come normata anche dal Codice francese (come qualsiasi limitazione alla partecipazione sociale subita nel suo ambiente da una persona a causa di un’alterazione – permanente o temporanea – di una o più funzioni fisiche e di condizioni sensoriali, mentali, cognitive o psichiche), i neurologi fanno notare che in Francia le Linee guida per la cura delle persone in stato vegetativo sono definite da una circolare dello stesso Ministero della Salute datata 3 maggio 2002, ancora in vigore, e che in tutto il paese sono circa 150 le Unità dedicate alle persone che si trovano in tale situazione. Fanno notare inoltre come lo stesso ministero della Salute abbia organizzato il 3 ottobre 2018 una conferenza sulla vita quotidiana delle persone in stato vegetativo o in stato di coscienza alterata, con la presentazione di un rapporto scientifico e di un Libro bianco sulla cura di questi pazienti, presentandoli come persone con disabilità e ricomprendendoli nella presa in carico della disabilità in Francia. “Affermiamo – è la conclusione dei sanitari – che come i 1.700 altri pazienti che versano in tale situazione di grave handicap, il signor Vincent Lambert ha diritto alla solidarietà di tutta la collettività nazionale, che gli garantisce, in virtù di tale obbligo, l’accesso ai diritti fondamentali riconosciuti a tutti i cittadini”.
Sulla vicenda, che si trascina da 11 anni e che da almeno sei è arrivata alla ribalta delle cronache giudiziarie e ora anche politiche, non pare essere ancora stata scritta la parola 'fine'. (ska)