7 febbraio 2017 ore: 15:40
Giustizia

Vincenzo, Ahmed, Umair e Marco produrranno mozzarelle di bufala in carcere

Dal 13 febbraio al via la produzione di mozzarelle alla Dozza. L’idea è di un’azienda salentina, 4 i detenuti impiegati, guidati da un casaro esterno. A oggi sono 770 le presenze, ma in pochi lavorano. Clementi (direttrice): “Per noi è una bella scommessa, ma crediamo nel nostro lavoro”
Elena Realti Caseificio carcere Dozza

Foto: Elena Realti

La direttrice Claudia Clementi con Luca Rizzo Nervo (assessore al Welfare) all'inaugurazione del caseificio. Foto: Elena Realti
Caseificio carcere Dozza 3

- BOLOGNA - “Sono felice. Per la prima volta potrò imparare una professione, pensare al futuro e aiutare la mia famiglia”. Ahmed, 41 anni originario della Tunisia, una condanna a 9 anni di reclusione che sta scontando alla Dozza, è uno dei 4 detenuti che, a partire dal 13 febbraio, produrranno mozzarelle di bufala in carcere. Insieme a lui ci sono Vincenzo, 48enne napoletano, che da ragazzino ha lavorato nel settore e garantisce che “questa mozzarella è buonissima”, Marco, riminese di 26 anni e un fine pena al 2042, “per me è un’emozione grandissima avere questa possibilità” e Umair, 25 anni del Pakistan, “contentissimo di essere stato scelto ma spero che riescano a inserire anche altre persone”. A guidarli nell’apprendere l’arte della produzione casearia c’è Luciano Smaldone, casaro professionista di Caserta: “Per fare questo lavoro serve impegno e collaborazione, questi ragazzi sono rispettosi e credo che si creerà una bella squadra”.

L’idea di portare la produzione di mozzarelle di bufala in carcere è di Rocco Frontera dell’azienda salentina Liberiamo i sapori, “per noi è una sfida e abbiamo pensato a Bologna come cuore commerciale d’Italia”, e ha incontrato l’entusiasmo di tutte le persone coinvolte, in primis la direttrice della Dozza, Claudia Clementi, e degli stessi detenuti, scelti per attitudine, percorso comportamentale, eventuali esperienze precedenti nel settore alimentare e un fine pena lungo in modo da consentire loro di avere il tempo di imparare il mestiere. La materia prima, il latte, arriva da Bergamo mentre il prodotto finale, “di alta qualità”, come assicura Fabrizio Viva di Liberiamo i sapori, sarà distribuito attraverso l’azienda bolognese I freschi di Cadriano. 

Foto: Elena Realti
Caseificio carcere Dozza 2

L’attività casearia va ad aggiungersi alle altre già attive all’interno del penitenziario bolognese: l’officina meccanica, la sartoria, il recupero dei materiali elettronici e la serra. “Al momento abbiamo inserito 4 detenuti in quest’attività, assunti dall’azienda con un contratto part-time, ma vorremmo arrivare a 10-12”, ha detto Massimo Ziccone, responsabile dell’area educativa della Dozza. L’obiettivo è che i detenuti diventino casari e possano, a loro volta, insegnare agli altri. “Il lavoro è essenziale per il reinserimento sociale ed è importante che si tratti di un’attività realizzata da imprenditori veri – ha continuato Ziccone – I numeri non sono quelli che vorremmo, stiamo facendo 4 inserimenti e i detenuti presenti sono 770, ma poco alla volta vorremmo coinvolgere più persone”. Attualmente, ci sono 14 detenuti al lavoro nell’officina meccanica, 2 nel recupero del materiale elettronico, 4 donne impiegate nella sartoria e 2 persone in tirocinio nella serra, dove si producono erbe aromatiche e insalata. 

Foto: Elena Realti
Caseificio carcere Dozza

“Siamo un’istituzione pubblica e realizzare iniziative come questa non fa di noi degli imprenditori – ha detto Clementi – ma significa adempiere al nostro mandato e realizzare una detenzione dignitosa, come ci sta chiedendo l’Europa”. Il progetto ha richiesto uno sforzo considerevole, ma ha trovato grande collaborazione anche da parte dell’Asl che “ci ha supportato costantemente”, continua la direttrice. L’attività casearia si svolgerà all’interno del locale che accoglieva la vecchia tipografia, da tempo in disuso, i cui lavori di adeguamento sono stati svolti dagli stessi detenuti, “sotto questo punto di vista risponde a tutte le caratteristiche che deve avere un’attività in carcere”. Gli strumenti e i macchinari appartengono all’amministrazione penitenziaria che li dà in comodato d’uso all’azienda. “Per noi è una bella scommessa – ha concluso Clementi – ma crediamo nel nostro lavoro”. (lp) 

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