Yassine cittadino italiano? “Felice per lui, ma è una tripla discriminazione”
Yassine Rachik |
“Questo ragazzo, forse, non è marocchino, di colore, mussulmano? Guardate che non mangia maiale, e forse sua mamma è velata. Forse fa il ramadan, va in qualche moschea. Ma sì, magari porta qualche titolo. Ma quando perderà i commentatori diranno: l’atleta marocchino che gareggia per l’Italia è arrivato quarto, per esempio. Sole se vincerà annunceranno: ‘L’atleta italiano ha vinto’”. Questo il commento lasciato ieri da Farid Karout sotto l’articolo "Mattarella firma la cittadinanza per Yassine, ora è un atleta italiano" condiviso sul profilo Facebook di Redattore sociale.
Farid Karout è uno psicologo, educatore, mediatore culturale di origine algerina, arrivato in Italia nel 1991 e cittadino italiano dal 1998. Nato nella provincia di Skikda 48 anni fa, nel 1990 si è laureato in Psicologia del lavoro e dell’organizzazione all’università di Costantina (Algeria). Dopo un breve periodo di studio post-laurea non terminato per motivi economici all’università di Aix-En Provence (Francia), è arrivato in Italia, stabilendosi nel savonese. Nel 1993 ha sposato Lara: hanno una figlia, Iman, 17 anni, studentessa al Liceo Classico. Da un anno Farid – dopo il fallimento per colpa della crisi della sua piccola azienda edilizia – lavora in Germania, a Brema, in un centro che si occupa di minori stranieri non accompagnati (Msna).
Farid Karout, psicologo e educatore italo-algerino |
“Quelli della mia generazione ricordano sicuramente il tennista Yannick Noah: quando vinceva, ‘evviva, il francese ha passato il turno’. Quando perdeva: ‘sfortunatamente l’atleta camerunense si è fermato al quarto di finale’ – si legge sul social network –. Conosco ragazzi come Yassine Rachik: ingegneri, medici, professori. C’è chi raccoglie i pomodori a Barletta perché il suo diploma non viene riconosciuto, chi fa il lavapiatti negli hotel di Alassio. Yassine, copriti le spalle figliolo: sarai italiano solo perché adesso servi. Sai quanti ne sono passati prima di te? Prendila sempre con sportività. Buona fortuna”.
“È un discorso molto complesso, difficile da riassumere: io parlo da padre, da immigrato, da italo-algerino, da persona da 25 anni in Italia – spiega, contattato telefonicamente –. Per me, una notizia così, è una tripla discriminazione: in primis, perché per dare la cittadinanza a questo ragazzo si è dovuto muovere il presidente Mattarella sospinto dal Pd. Ma non è giusto: la cittadinanza è un diritto che va acquisito secondo determinati criteri. E tutti gli altri che aspettano da decenni la cittadinanza italiana cosa dovrebbero dire? Questa è la seconda discriminazione: perché Yassine sì, e loro no? Solo perché non possono fare vincere un oro all’Italia? Infine: si dice che la firma del presidente sia un gesto simbolico, grazie al quale si potrà accelerare il discorso sulla cittadinanza in Parlamento. Quindi vorremmo cambiare una legge sulla spinta di un ragazzo che corre? Io per lui sono molto felice, ma il tema ‘cittadinanza’ è assolutamente complesso, non si può aprire per futili motivi. Serve appoggiarsi a professionisti esperti, studiare, approfondire: così sarebbe come andare in guerra senza armi. Prima di parlare di cittadinanza, sarebbe necessario chiarire il concetto di identità”.
Karout fa un esempio: Iman, la figlia, quando va in Algeria è "l’italiana", in Italia è "l’algerina": “Ecco cosa intendo quando parlo di identità sfasciata. E per risolvere il dramma non basta un foglio di carta. Questo perché l’integrazione vera non è mai avvenuta in nessun posto al mondo. Il fenomeno è trasversale: i neri saranno sempre diversi dai bianchi; i mussulmani faranno il ramadan e i cristiani andranno in chiesa. Certo, ci può essere accoglienza: l’Italia, per esempio, sa essere un Paese molto ospitale. Così la Germania. Ma si tratta di tentativi individuali: non c’è mai stata un’integrazione programmata, nemmeno negli Stati in cui l’immigrazione è cominciata molto prima che in Italia. Le banlieue francesi sono una perfetta dimostrazione di ciò”. E racconta un episodio che ha vissuto in prima persona: anni fa, come educatore, accompagnò 7 minori con problemi penali ospitati in una comunità a un supermercato vicino Savona. Si fermò sulla porta, per controllare che non portassero fuori alcolici o altri acquisti vietati. Una ragazza gli si avvicinò, gli chiese di portarle la spesa alla macchina. Lui lo fece, lei gli disse di tenersi l’euro del carrello, lui lo restituì: “Può immaginare come mi sono sentito? Io ero già cittadino italiano. Può immaginare la mia ferita? Non si rimarginerà mai”.
Karout, arrivato in Italia, si è cimentato in una serie di lavori manuali, fino ad aprire una ditta come artigiano edile: contemporaneamente, insegnava lingua araba agli italiani e faceva traduzioni. Chiusa la ditta con la crisi, ha rispolverato gli studi iniziando a lavorare come coordinatore e mediatore interculturale, fino a diventare operatore volontario del Punto Informativo Anti Discriminazione di Albenga, progetto della Regione Liguria connesso al Centro Nazionale Unar: “Poco più di un anno fa, ho sentito parlare di questo centro per Msna che avrebbe aperto a Brema. Mi sono candidato ed eccomi qui: prendo il doppio di quello che prendevo in Italia, mi pagano il corso di tedesco. Dopo i primi 6 mesi qui, mi hanno fatto firmare un contratto secondo il quale, se me ne vado prima di due anni, devo pagare una penale. È stata davvero una bella soddisfazione. Nel frattempo, sto ancora aspettando gli stipendi degli ultimi lavori che ho fatto in Italia. È questo il problema: in Italia non sfruttano le tue competenze. Ma io non rinnego il mio Paese: solo, ho una moglie casalinga e una figlia adolescente. Devo lavorare”.
Karout spiega che la cittadinanza è come la fiducia: va conquistata, perché non basta consegnare un attestato, serve dare risposte pratiche. “Quando sono arrivato nel paese ligure in cui mi sono stabilito, eravamo 7 immigrati. Ora siamo molti di più. In tutti questi anni ho sempre cercato di comportarmi come un cittadino modello. Ma continuo ad andare nello stesso posto a fare la spesa, e al bar vado solo dove mi conoscono”. (Ambra Notari)