11 marzo 2020 ore: 10:30
Disabilità

I caregiver nell'Italia “protetta”. #Restiamoacasa, tra vecchi problemi e nuove risorse

Elena Improta, mamma caregiver e presidente dell'associazione Oltre lo sguardo, fa il punto: centri diurni aperti, ma “non garantiscono rapporto 1 a 1. Drammaticamente, ne chiediamo la chiusura”. L'assistenza domiciliare c'è “ma a singhiozzo e con operatori spesso in ansia”. E poi l'ombra peggiore: “I nostro figli non troverebbero posto in rianimazione”
caregiver io resto a casa

Mario e una delle sue operatrici

ROMA – I centri diurni per le persone con disabilità sono ancora aperti, “ma in queste condizioni, ne chiediamo la chiusura”: ed è una richiesta drammatica, questa che arriva da alcune associaizoni di Roma e del Lazio, capofila Oltre lo Sguardo onlus. “Ma dall'ultimo decreto, credo di poter dire che siamo tutti compatti, famiglie e associazioni, in questo disperato appello”, ci dice Elena Improta, mamma e caregiver di Mario, gravemente disabile, nonché presidente di Oltre lo sguardo onlus e tra le promotrici della community “2020 sorelle di cuore”. Da oggi anche lei è in quarantena, insieme a suo figlio, perché “mi ha appena scritto un operatore di Mario: la fidanzata è stata in contatto diretto con una signora positiva al Covid 19. Perdiamo così, tra l'altro, otto ore di assistenza. E naturalmente siamo più preoccupati rispetto a poche ore fa”. Mario non frequenta un centro diurno, non ne ha mai trovato uno disposto ad accoglierlo. Ma Elena Improta ci aiuta, come caregiver “connessa” con tante altre caregiver, a fare il punto della situazione.

Chiudiamo i centri diurni. Lo chiedono (drammaticamente) le famiglie

Primo, i centri diurni sono aperti, "ma ci troviamo a chiedere che vengano chiusi, perché non abbiamo avuto certezza delle condizioni di sicurezza, che sarebbero garantite solo tramite rapporto 1 a 1. Ancora adesso sono attivi e funzionanti, ma non sono sicuri. Non è stato neanche rivisto il criterio in base al quale, con un certo numero di assenze, l'utente perde automaticamente il posto. Un vero e proprio ricatto per le famiglie, in questo delicato momento. Quello che chiediamo – specifica Improta – è che restino aperti sì, a patto però che offrano tutte le garanzie tramite un piano d'intervento diverso da quello ordinario”.

Altrimenti? “Altrimenti ci diano l'assistenza domiciliare, anche se su questa pure abbiamo forti dubbi: gli operatori sono formati? Già normalmente arrivano a casa nostra persone che non sappiamo proprio come siano state selezionate...”. In questa situazione particolare, ci sono famiglie che decidono di rinunciare all'assistenza domiciliare, per proteggere la propria famiglia dal rischio del contagio: “Ma si tratta sempre delle famiglie con maggiori possibilità economica e una condizione sociale migliore. Chi invece vive in una situazione di disagio, nella disperazione si obbliga a tenere l'assistenza, anche quando sa di correre un rischio perché, per esempio, l'operatore arriva da lontano e con i mezzi pubblici. E' una triste verità: chi ha un disagio sociale vive più drammaticamente questa emergenza. E rischia di più”.

L'assistente “nel panico” non può essere d'aiuto

Ed ecco il secondo punto: l'assistenza domiciliare e infermieristica. “Ufficialmente, questa non è stata toccata e rimane funzionante – ci riferisce ancora Improta – Ma sappiamo che procede a singhiozzo, con operatori e infermieri spesso nel panico, che in preda all'ansia se ne vanno lasciando sola la famiglia. E' successo a una mamma caregiver con cui siamo costantemente in contatto, Sara Bonanno. Per chi vive nella sua condizione, sola con un figlio gravemente disabile, la situazione è drammatica. Bisognerebbe avere sempre la garanzia delle sostituzioni, perché è prevedibile che qualche operatore, in questa situazione di emergenza, vada nel panico e non sia in grado di svolgere il proprio lavoro. Ma in questo momento, trovare sostituzioni non è affatto semplice. Come non lo è mai stato”. Perché proprio questo è il problema: “Questa emergenza mette in luce drammaticamente criticità e mancanze che nel nostro sistema ci sono sempre state e che noi che abbiamo a che fare con le gravi e gravissime disabilità abbiamo sempre denunciato”.

“Un posto in terapia intensiva per i nostri figli non ci sarà”

Per esempio – ed è il terzo nodo critico evidenziato da Improta – manca un percorso preferenziale per l'assistenza medica dei nostri figli. E' sempre mancato e tanto più manca ora. Possiamo dire anzi che adesso finalmente ci stiano dicendo la verità: i nostri figli, con le loro malattie pregresse, sono gli ultimi della lista e i primi che non avrebbero un letto in rianimazione. E' questa l'ombra più scura che incombe su tutti noi. E sapete cosa ci ossessiona in questi giorni? Che nessuno ci dica se se tra i morti di coronavirus ci siano state persone con disabilità”.

La “community” per restare insieme, restando a casa

Cosa fare allora? Posto che questa oggi è la situazione e non possiamo sapere per quanto tempo sarà così, c'è qualcosa che si può fare per sostenere queste famiglie, nel rispetto delle regole imposte dalla necessità di contenere il virus? “Una delle cose che noi, come associazione e come community, stiamo facendo è stare in continuo contatto sia con le famiglie che con gli operatori per rassicurarli. Dalle 6 di stamattina non facciamo altro che parlarci, sulle community che abbiamo creato: è un counceling continuo e dal basso, che ha lo scopo di contenere l'angoscia e la solitudine e di accompagnare le famiglie nell'interpretazione delle continue comunicazioni. Stiamo cercando di attivare laboratori online, videomessaggi, per cercare di mantenere la continuità relazionale attraverso il web. È l'unico modo per non impazzire e per dare ai ragazzi, che non capiscono cosa stia succedendo, la sensazione di non essere soli. Fare un video di vita vera, filmando noi stessi o anche gli animali che abbiamo in casa, per poi condividerlo sul gruppo, ha effetti importanti sul nostro umore e su quello dei nostri figli. E poi, naturalmente, dobbiamo essere in grado di scadenzare la giornata ancora meglio di come abbiamo sempre fatto: dobbiamo avere la capacità organizzativa perché ogni momento abbia una finalità e ci sia sempre un compito da portare avanti. Ecco, questo è quello che ci stiamo inventando, mentre aderiamo alla campagna #iorestoacasa. Ma a questo hashtag aggiungiamo i nostri: #resilienza, #videomessaggi, #restiamouniti, #nonlasciatecisoli. E per finire: #bastaunpensierounatelefonata. (cl)

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