ROMA - Lorenzo Amurri è un vulcano: sempre in giro per l’Italia a presentare la sua autobiografia rock, intitolata Apnea e pubblicata da Fandango. Sabato 18 maggio, alle ore 15, sarà al Salone del Libro di Torino, nella Sala Blu, dove la conduttrice e autrice televisiva Serena Dandini illustrerà agli spettatori presenti il suo libro; alle 17.30 Amurri si sposterà alla Libreria Golem Bookshop, in via Rossini 21, dove Giancarlo Caselli darà voce alle sue pagine. Nel numero di maggio del mensile Superabile Magazine, edito dall’Inail, una lunga intervista allo scrittore-rivelazione di quest’anno – divenuto tetraplegico a 26 dopo un grave incidente – che sta riscuotendo un grandissimo successo anche grazie al tam tam sul web.

Una domenica a sciare con la fidanzata svedese Johanna sul Terminillo, vicino Roma. Che finisce con uno schianto su un pilone della seggiovia, la quinta vertebra disintegrata e l’eredità di una tetraplegia. Sono passati oltre 16 anni da quel giorno e Lorenzo Amurri non ha ricordi del momento dell’impatto. Solo la sensazione di non riuscire a respirare, la testa affondata nella neve. Ma con lucida autoironia e sincerità il musicista e produttore musicale 42enne ripercorre i mesi dopo il gravissimo incidente – prima in ospedale a Terni, poi in clinica a Zurigo tra interventi chirurgici, terapia intensiva e riabilitazione – nella sua autobiografia. Scritta in due anni e mezzo, cliccando sulla tastiera con la nocca del mignolo destro, si legge d’un fiato. Grazie anche al tono, che non scivola mai nell’autocommiserazione. La disabilità nuda e cruda, vissuta e narrata con grinta: senza pudori né censure. Coperto di tatuaggi, capelli un po’ lunghi e ondulati, amante del rock e del blues, Lorenzo era un giramondo: gli piaceva vagare libero, con la sua chitarra, e sperimentare trasgressioni di ogni tipo. La sedia a ruote, però, non è riuscita a fermare i suoi viaggi e soprattutto non ha rallentato il ritmo vorticoso dei suoi pensieri.

Sembra che lei abbia coltivato per anni la voglia di scrivere questo libro. Come si è concretizzata l’idea di farlo?
“L’esigenza di scrivere un’autobiografia è maturata gradualmente. Ho cominciato inviando alcuni racconti a un’amica scrittrice, Pulsatilla (Valeria Di Napoli), che mi ha detto: ‘C’è materiale per un romanzo’. Così è venuta l’esigenza di provare a mettere in fila i ricordi che avevo e, contemporaneamente, sono riemersi alla memoria fatti che non ricordavo: me ne sono reso conto mentre li scrivevo. Ci ho messo due anni e mezzo; per me è stata una sorta di autoterapia. E devo ringraziare Clara Sereni per aver dato l’inizio ufficiale a tutto, pubblicando nel volume Amore caro, uscito nel 2009, un capitolo scritto a quattro mani da me e da mio fratello Franco”.

Il suo blog, aperto nel marzo 2008, si chiama “Tracce di ruote”. Voglia di raccontarsi, di condividere, di capire e far capire?
“Ho iniziato proprio con il bloga scrivere, per raccontare con ironia tutto ciò che mi succedeva nel mondo della disabilità. Ma non sapevo di saper scrivere, solo di essere un lettore onnivoro. John Fante è il mio preferito, ma anche tanti autori della letteratura americana contemporanea: da Wallace a Bukowski, da Carver ad Auster e Kerouac, insieme ad altri della Beat generation. Poi Kafka, Dostoevskij, Calvino. Ora sto scoprendo Proust: la Recerche mi ha illuminato”.

Si aspettava che il suo volume avesse tanto successo e visibilità?
“No, non me l’aspettavo. Da fine gennaio a oggi sono stato e continuo a essere immerso nella promozione e nelle interviste sui media. E poi tantissimi lettori, anche disabili, mi contattano via Facebook e sul blog. L’editore era convinto che il libro sarebbe esploso, io ovviamente ci speravo ma non avrei mai pensato di finire tra i 12 libri in gara per il Premio Strega... Devo dire grazie alla mia famiglia e a Sandro Veronesi, che continuano a seguirmi in questo percorso. Per me è diventato un lavoro. E voglio continuare a scrivere: ho già alcune idee per un secondo romanzo”.

“Libertà di pensiero è libertà di movimento. Perché è la fantasia a tenermi legato a questa vita”, annota nel volume. Una convinzione granitica, che purtroppo si scontra con la scarsa accessibilità reale...
“Gli ostacoli quotidiani sono tantissimi, così le barriere architettoniche: Roma è un’autentica giungla, priva di scivoli sui marciapiedi e di parcheggi per disabili occupati da altri. Bisognerebbe ripartire dall’educazione civica nelle scuole per creare una nuova mentalità, una cultura diversa: a Londra, per esempio, l’inaccessibilità è inconcepibile. In Italia si dovrebbero far rispettare le leggi e rendere accessibili luoghi che non lo sono: dalle gallerie d’arte ai teatri, dai cinema ai ristoranti ai palazzi. E le barriere burocratiche? E la pensione d’invalidità? 270 euro mensili che arrivano a 750 con l’accompagno: una cifra bassissima che non consente a chi non ha altri mezzi di avere una vita dignitosa. Io sono fortunato perché ho alle spalle una famiglia abbastanza agiata. Ma con una tale somma non potrei permettermi neppure di pagare un affitto”.

A proposito di famiglia, che ricordi ha di suo padre Antonio, celebre scrittore e paroliere?
“Non avrebbe sopportato di vedermi disabile: è morto quando avevo 21 anni, prima dell’incidente. Durante l’adolescenza evitavo sempre di parlargli dei miei problemi, delle mie paure. La sua mancanza è una ferita aperta; avevamo un buon rapporto ma non profondo, mi piacerebbe averlo vicino ora per condividere questo successo e molto altro con lui”.

Nel libro evidenzia l’importanza del contatto fisico e di avere relazioni affettive. Ritiene che andrebbe legalizzata anche in Italia la figura dell’assistente sessuale?
“Sì, sono assolutamente d’accordo: dovrebbe essere istituita. Io sono fortunato, perché posso vivere le mie pulsioni sessuali. Ma penso a chi non può farlo. Tante mamme portano i loro figli dalle prostitute. Sarebbe diverso se una persona con una formazione adeguata potesse venire a domicilio”.

Il suo rapporto con la musica e con la chitarra, oggi?
“Continua, anche se in modo diverso. Ho chiuso lo studio di registrazione, ma proseguo con l’appagante lavoro di produttore. E riesco a suonare la chitarra, mettendola in grembo, con un cilindro di metallo sulle dita”.

Cosa pensa del successo del film Quasi amici?
“Mi sono rivisto in tante situazioni raccontate. Il film mi ha divertito, anche se rimane un po’ in superficie, easy, accessibile a tutti. Non mostra la faccia più dolorosa dell’essere tetraplegico”. (lab)