Assistenti sociali tra forza e fragilità: un lavoro che spesso non ripaga lo sforzo
ROMA - Sul fronte del benessere lavorativo gli assistenti sociali in Italia mostrano elementi di forza e altri di potenziale fragilità. Se la dimensione dell'autonomia professionale e della discrezionalità nell'organizzare l'agenda di lavoro risulta garantita, lo stesso non si può dire per quanto riguarda il riconoscimento dell'impegno profuso nel lavoro. A dirlo è la ricerca "Gli assistenti sociali in Italia. Uno sguardo sulla professione che cambia" presentata oggi a Palazzo Chigi.
L'analisi, condotta su un campione di 2.718 assistenti sociali contattati via mail, evidenzia che il 76,3 per cento degli assistenti sociali di poter programmare, spesso o abbastanza spesso, con autonomia i propri compiti, fornendo in questo senso un quadro generalmente positivo per la professione. Solo il 6 per cento ritiene di poterlo fare raramente o quasi mai. E la percezione di autogestione aumenta con l'età: dal 70 per cento degli assistenti sociali under29 all'88,7 per cento tra i più anziani.
Il lavoro “sul caso” per gli assistenti sociali di base - la maggior parte del corpo professionale -, è la dimensione di lavoro più rilevante. "Lavorare con le persone, con le famiglie nel loro corso di vita richiede flessibilità e adattamento alle circostanze e alle situazioni che si riverberano nel processo di aiuto attuato dai professionisti, che per sua natura mal si presta ad un eccessivo irrigidimento", si sottolinea nel report.
Sul fronte del riconoscimento professionale, invece, più di un assistente sociale su tre ritiene di ricevere spesso e abbastanza spesso un sufficiente riconoscimento (37,3 per cento). Un altro 34,7 per cento si pone in una posizione mediana, mentre il 28 per cento ritiene di non vedere quasi mai riconosciuto il proprio sforzo.
Per quanto riguarda le motivazioni che spingono ad accedere alla professione, gli intervistati riferiscono che l'aspetto meramente retributivo del lavoro è importante, ma non viene considerato centrale per orientare la scelta di studio e lavorativa futura da parte degli studenti. "La motivazione ad aiutare gli altri, la corrispondenza del lavoro sociale a una dimensione ideologica insieme alla realizzazione personale sono fra le spinte che vengono riconosciute prima della “buona retribuzione” da parte dei neoiscritti al corso di laurea" riporta ancora il documento. (gig)