16 ottobre 2002 ore: 12:48
Immigrazione

Catalina e la sua famiglia, da Colle Oppio alla topaia di Trigoria: ''Se un italiano vivesse qua solo due giorni...''

ROMA - Negli edifici abbandonati, in baracche costruite sulle banchine del Tevere, anche nelle automobili: sono i ripari che restano a decine di famiglie senza dimora che vivono nella capitale. Gli operatori notturni della Caritas ogni sera intercettano 6 o 7 nuclei homeless. Un fenomeno nuovo e in aumento. Per gli italiani la causa è economica. Per gli stranieri, spesso dipende dalla mancanza del permesso di soggiorno e dello status di rifugiato, che tarda ad arrivare per chi in Italia è solo di passaggio, diretto in Germania, Olanda, Inghilterra, Svezia e Danimarca.
Roma è lo snodo italiano per i richiedenti asilo: 10 mila in transito ogni anno di cui il 30 per cento nuclei familiari con bambini. Nelle caverne naturali tra Colle Oppio e il Celio dorme un numero imprecisato di famiglie curde provenienti da Iraq e Turchia. Un centinaio di persone? Sicuramente decine ogni giorno. Nei giardini che sovrastano la Domus Aurea si accampano per la notte uomini, donne e bambini. Arduo comunicare con loro in italiano; qualcuno parla il francese ma ha paura: rischia di essere sloggiato, perché la Sovrintendenza non tollera più la situazione, ma non permette di installare, in una zona di alto valore archeologico, i bagni chimici. Intanto gli abitanti della zona protestano per il degrado: non ci sono bagni pubblici e le famiglie si arrangiano come possono; molti vanno a lavarsi e a mangiare alla mensa del Centro Astalli, gestita dai gesuiti vicino a Largo Argentina. Una lunga fila ogni giorno per la cena, ma donne e bambini godono di una “corsia preferenziale”. Posti per dormire, però, non ce ne sono. Il Ferrhotel alla Stazione Nuovo Salario, aperto da alcuni mesi e affidato al Jesuit refugee service, è sempre stracolmo. Così le altre strutture, gestite in convenzione con il Comune dal volontariato. Non resta che tornare alle “grotte” e attendere che si liberi un posto.
Una bimba iraniana ha attirato l’attenzione degli agenti a cavallo, di notte. Hanno sentito il suo pianto continuo, insistente. Era con il padre, a Colle Oppio, la mamma ricoverata in ospedale, dove la polizia ha deciso di portare anche la figlia per accertamenti medici; poi la famiglia è stata affidata ai servizi sociali. Manca una grande struttura di prima accoglienza per i richiedenti asilo. Il I Municipio ha rivolto un appello al Prefetto, perché istituisca “un’unità di crisi permanente e requisisca una vecchia caserma vuota o un istituto scolastico inutilizzato per dare ospitalità dignitosa a queste persone”.
I bisogni di una famiglia senza casa? “Ti manca la possibilità di fare una doccia, ad esempio. Ma poi cerchi di adattarti”, racconta Catalina, 23 anni, arrivata dalla Romania due anni fa con suo marito dopo un mese di matrimonio, inseguendo il “sogno italiano”. “Lavoravo come cameriera, poi come commessa in un negozio, ma lo stipendio medio in Italia è 13 volte il nostro: 50 euro al mese”. Il viaggio della coppia si è concluso in un edificio abbandonato nella campagna di Trigoria, alla periferia di Roma: solo le mura e nient’altro. “Un amico ci ha ospitato per due settimane, poi ha avuto problemi con i padroni dell’appartamento. Non sapevamo dove andare, eravamo senza lavoro”.
Così la “dimora” di Trigoria - dove c’erano già 40 persone, tutte rumene, comprese 8 famiglie - è diventato il loro alloggio. Catalina “arreda” la stanza che le viene assegnata dal “responsabile” con quello che trova accanto ai contenitori della spazzatura: “La gente butta via materassi e reti ancora in buono stato”. Intorno alla struttura diroccata, “immondizia e sporcizia”. A lume di candela la sera, di giorno a una fontanella vicina per lavarsi e raccogliere l’acqua per cucinare con il fornelletto a gas. Una “fossa biologica” scavata nella terra era diventato il bagno comune.
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