18 giugno 2009 ore: 14:39
Salute

Curare la dipendenza senza innescare il meccanismo della compensazione

Una linea unisce varie dipendenze: alcol, fumo, azzardo, sport e lavoro. Spesso l'insorgere di una è consecuente all'abbandono di un’altra. De Luca: ''Va fatto un lavoro approfondito, altrimenti si rischia solo di mettere delle toppe''
Alcolismo: ragazzi bevono in un locale

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UDINE – C’è una sottile linea che unisce varie dipendenze: da alcol, da fumo, da azzardo, da sport e da lavoro. Spesso, infatti, l’insorgere di una di queste è consecutiva all’abbandono di un’altra: capita a volte che chi smette di bere inizi a giocare e che chi smette di giocare inizi a dipendere dal lavoro. “Come sottolineava Lavoisier ‘nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma’. E questo vale anche per le nostre pulsioni”, sottolinea Rolando De Luca, psicologo psicoterapeuta responsabile del centro di terapia di Campoformido, in provincia di Udine.

 

Se è vero che esistono casi di dipendenza “pura” da azzardo, dunque, è anche vero che il ricorso al gioco può essere consequenziale a un precedente problema di dipendenza che è stato risolto, il più delle volte legato all’abuso di alcol o al fumo. Così per smettere un vizio capita di scivolare in un altro, ugualmente dannoso. “E’ come quando si smette di fumare e la gente ingrassa perché si sfoga con il cibo – spiega De Luca –, il meccanismo è lo stesso, si cercano compensazioni”. Allo stesso modo, esiste il rischio che una volta abbandonato il gioco la persona riversi tutte le proprie energie nello sport o nel lavoro, innocui di per sé ma potenzialmente dannosi se si sviluppa un attaccamento ossessivo. Inoltre, anche nella fase di dipendenza da azzardo, questa è quasi sempre accompagnata da un consumo notevole di sigarette. “Se in queste situazioni di slittamento tra dipendenze non svolgiamo un lavoro accurato e approfondito rischiamo solamente di mettere delle toppe e di non risolvere veramente il problema alla radice”.

 

A chiedere aiuto, comunque, non è quasi mai la persona direttamente toccata dal problema: le mogli, i genitori, i figli sono generalmente i primi a cercare un intervento esterno, come testimoniato dalla raccolta di e-mail contenute nel libro “Sos azzardo” (che si può richiedere gratuitamente attraverso il sito del Centro di Campoformido www.sosazzardo.it). “I giocatori sono molto restii a entrare in terapia perché sono convinti di sapersi controllare – sottolinea l’esperto – ed è per questo che il lavoro terapeutico inizia prima da familiari e parenti”. Ma spesso anche tra questi ultimi serpeggia diffidenza sul lavoro terapeutico, tanto che in genere dal primo contatto informativo all’inizio della presa in carico passano alcuni mesi o anche anni. Una volta iniziato, poi, “il lavoro di recupero non è veloce ma dura nella maggioranza dei casi qualche anno, tenendo conto che gli incontri del gruppo impegnano solo due ore alla settimana. Mediamente, comunque, il 95% delle persone conclude positivamente la terapia”. (gig)

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