Elettroshock, la Fondazione Basaglia: ''Roba da manicomio, o affari?''
Malato di mente e elettroshock
Roma - "In Italia l'elettroshock si fa poco. Cio' vuol dire che la gente non lo vuole. E se non lo vuole, vuol dire che si e' lavorato negli anni per costruire la consapevolezza che i problemi mentali non si risolvono ne' con una scarica elettrica ne' con un farmaco, ma nemmeno con una pacca sulla spalla. La questione centrale sono i servizi, e oggi il problema e' lo stato in cui sono i servizi, spesso a causa di cattive politiche regionali". A parlare e' Maria Grazia Giannichedda, docente di Sociologia politica all'universita' di Sassari e presidente della Fondazione Franco Basaglia, la quale non e' per proibire per legge la pratica ("innanzitutto perche' sono un'anti-proibizionista"), ma per spostare l'attenzione sulla forma che i servizi hanno: "Quando ci sono, quando funzionano, le tecniche rapide e semplicistiche perdono terreno davanti a situazioni complesse. Se i servizi sono buoni, di un certo tipo e ben organizzati, con orari di apertura utili e vicini alle persone, la domanda di elettroshock diminuisce".
La Tec, terapia elettroconvulsivante, "vive del manicomio, appartiene alla stessa logica, ecco perche' altri Paesi, sempre citati e tanto decantati da chi vorrebbe diffonderla maggiormente, la usano: perche' non hanno bandito i manicomi". Insomma, l'elettroshock in Italia e' effettuato su una fetta ristretta e precisa di casi, come la stessa Giannichedda ha documentato in un articolo apparso qualche mese fa sul quotidiano 'Il Manifesto': a Pisa, nella clinica psichiatrica dell'universita' (uno dei 9 luoghi tra pubblici e privati in cui si effettua la Tec), nel 2001 si e' effettuata la Tec su 170 persone, nel 2006 il numero si e' abbassato a 86.
Perche', dunque, voler moltiplicare i centri in cui si pratica l'elettroshock, perche' volerlo diffondere oltre quanto la scienza lo ritiene necessario, come vorrebbe l'associazione Aitec che per questo si e' rivolta anche al ministro del Welfare, Sacconi? La finalita' di lucro e' la prima risposta che Giannichedda si da'. "Forse la vendita di una merce, della tecnica, degli strumenti". Per tutte queste ragioni la docente universitaria sostiene che "in Italia l'elettroshock non e' un problema" e che lo vuol far apparire tale, ad arte, chi vuole avere pubblicita' gratuita."La parola- rispetto alla richiesta dell'Aitec di incrementare i servizi di Tec sui territori- spetta non tanto al ministro Sacconi quanto alle Regioni, in virtu' della riforma del Titolo V della Costituzione, e le politiche pubbliche non devono scegliere tra una tecnica e l'altra ma garantire che le tecniche ritenute adeguate arrivino ai cittadini". E "le Regioni molto differenti tra loro nei servizi: per esempio la Lombardia sta facendo fuori il Servizio sanitario nazionale, e anche nel Lazio le cose stanno peggiorando. Ci sono una quantita' di cose assurde da combattere, a cominciare da divieti come quello di fumare piu' di una sigaretta l'ora, cosa che viene intimata ai pazienti in alcuni Centri di diagnosi e cura. Andiamo a vedere cosa succede nei servizi, nelle famiglie, nelle scuole di fronte al problema della salute mentale". (ep) (Dires - Redattore sociale)
(DIRE)