Il tribunale: "E' Down, ma può sposarsi e scegliere le terapie"
Giustizia: martello del giudice
Sabrina (il nome è di fantasia) potrà sposarsi, quindi, e come si legge nel testo depositato, è quanto ha detto lei stessa al giudice Giuseppe Buffone con “serena determinazione”: “Io mi sposo col mio fidanzato”. Per il Tribunale, infatti, decretare la necessità del consenso di un amministratore in tale situazione, “equivarrebbe a strappare la Carta costituzionale in quel nocciolo duro in cui è invulnerabile”. Ma non solo. Il ‘divieto di nozze implicito’, la cui scelta discenderebbe dall’amministratore, viola anche l’articolo 23 della Convenzione di New York del 2006, ratificata dall’Italia con la legge 18 del marzo 2009, secondo cui “gli Stati Parti adottano misure efficaci ed adeguate ad eliminare le discriminazioni nei confronti delle persone con disabilità in tutto ciò che attiene al matrimonio, alla famiglia, alla paternità e alle relazioni personali, su base di uguaglianza con gli altri, in modo da garantire che sia riconosciuto il diritto di ogni persona con disabilità, che sia in età per contrarre matrimonio, di sposarsi e fondare una famiglia sulla base del pieno e libero consenso dei contraenti”. Infine anche la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea dove si riconosce al disabile il diritto a scegliere “con chi vivere” al fine di avere una “vita indipendente”.
Secondo quanto ribadisce il decreto, infatti, “il portatore della sindrome di Down, per il mondo del diritto, non è un ‘malato’ ma una persona diversamente abile: ed, allora, è persona che non va trattata come soggetto da curare ma come soggetto da aiutare, ove la diversità si frapponga al completo e sano fruire dei diritti che l’ordinamento riconosce”. Stesse considerazioni per quanto riguarda quelle scelte in ambito sanitario. Secondo il giudice, “l’amministratore è autorizzato alla cura del beneficiario nel perseguimento del suo best interest, con ciò anche potendo assumere scelte in ordine al trattamento sanitario, ma purché questo non sia imposto all’incapace ovvero realizzato in contrasto con le sue, pur flebili ma efficaci, scelte di autodeterminazione terapeutica”. (ga)