Internet in carcere, ''diritto compatibile con la mancanza di libertà''
ROMA – Internet in carcere, perché no? A chiederselo è Susanna Ripamonti, direttrice del periodico di informazione “Carte Bollate” della II casa di reclusione Milano-Bollate, nell’ultimo numero di novembre/dicembre 2013 del giornale scritto, pensato e finanziato dai detenuti dell’istituto penitenziario. Il tema affrontato per questo numero dal dossier è quello dell’accessibilità limitata e controllata al web per i detenuti, esperienza che anche per gli addetti ai lavori può essere fattibile. Lo è per il vicecapo vicario del Dap Luigi Pagano e per il consigliere regionale e membro della commissione ministeriale Carceri Lucia Castellano, secondo la quale “la possibilità di autorizzare l'utilizzo di internet, ovviamente limitato e controllato, evitando che si risolva nella possibilità di comunicare senza controllo con l'esterno” rientra in quella “nuova visione della vita detentiva, in cui vengono estesi al massimo tutti i diritti compatibili con la mancanza di libertà”. La sperimentazione può essere avviata, secondo la Castellano, a partire dalle Case di reclusioni per poi estendersi a quelle circondariali facendo affidamento, innanzitutto, al senso di responsabilità del detenuto nell’utilizzo di internet come strumento di formazione e di contatto con l’esterno.
Della stessa opinione è Guido Brambilla, magistrato di sorveglianza presso il tribunale di Milano: “Internet è uno strumento versatile e anche adeguatamente controllabile se si agisce a monte sul server dedicato, impostando, ad esempio, delle whitelist di siti accessibili con esclusione di tutto il resto. Ciò richiederebbe – sostiene Brambilla – l’autorizzazione del ministero, ma in sé e per sé la cosa è fattibile. La mia opinione è che lo strumento possa essere davvero utile”.
Secondo il presidente di Antigone Patrizio Gonnella “al sistema carcerario poco importa che le vecchie poste sono lì lì per chiudere, che nessuno scrive con carta e penna fuori dalle patrie galere, che Obama ha vinto le elezioni grazie ai social network o che Grillo usa il blog come se fosse un’agenzia di stampa. Come si può sostenere che la pena debba tendere alla rieducazione del condannato se si vieta alla persona reclusa di stare al passo dei tempi?”.
Roberta Cossia, magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di Milano ritiene che l’uso della rete possa dare ai detenuti la possibilità di informarsi sullo stato della giurisprudenza, sia nazionale che internazionale, sulla tutela dei diritti fondamentali dell’uomo. È fondamentale rendersi conto, sostiene il magistrato, che “la tecnologia è diventata parte della vita quotidiana di ciascuno di noi e in particolare l’uso, seppure controllato, di Internet è diventato oggi imprescindibile strumento di aggiornamento e di informazione, di cui oggi non potremmo più fare a meno, neanche se lo volessimo. Come sempre e come per tutte le cose, si tratta di instaurare delle regole e di farle rispettare, affinché uno strumento di per sé buono, non venga utilizzato in modo negativo o non venga abusato”.