Islam, Integrazione o ghetto? Roma, fra le donne a centocelle
Roma - Da stazione Termini partono tre strade consolari (Casilina, Prenestina, Tuscolana), quasi a formare un triangolo, uno spicchio di citta', all'interno del quale gli insediamenti delle comunita' musulmane sono numerosi, cosi' come le associazioni culturali islamiche, moschee non riconosciute, e che sono lo specchio reale del fenomeno immigrazione, al pari di Londra o Parigi, dove forte e' la concentrazione di comunita' musulmane. Si tratta di un sommerso che vive prevalentemente all'interno della stessa comunita', con al centro le moschee che rappresentano non solo luoghi di preghiera, ma anche posti in cui incontrare i connazionali, scambiare informazioni, frequentare scuole di arabo e di Corano. Insomma, fare 'vita di quartiere'.
Se, infatti, nella Grande Moschea di Roma, l'unica ad essere riconosciuta ufficialmente, le occasioni di incontro si riducono, in considerazione del fatto che si prega solo il venerdi', giorno di preghiera comunitaria per i musulmani, nelle altre moschee, invece, si prega almeno quattro volte al giorno (l'islam prevede cinque preghiere quotidiane).
Ma queste monadi garantiscono la reale integrazione tra i musulmani presenti nel nostro Paese e gli stessi italiani? O tutto questo rischia di alimentare una sorta di autoghettizzazione? Camminare per le strade in un quartiere come quello di Centocelle significa immergersi in una realta' quasi totalmente arabizzata. Intorno alla moschea di via dei Frassini, e non solo, proliferano macellerie halal, alimentari arabi, associazioni, cartolerie, barbieri.
E per le vie si incontrano donne e ragazze con il velo (nessun burqa o niqab). Come vivono le donne musulmane in Italia? E le loro figlie che frequentano la scuola? Rappresentano, forse, una realta' ibrida, perche' in famiglia vivono gli insegnamenti dell'islam, e fuori si confrontano quotidianamente con i compagni di classe, dai quali assumono atteggiamenti e usi occidentali, spesso non condivisi dalle famiglie stesse? Questa doppia vita rappresenta un disagio che vivono sia fuori che dentro la comunita'?
Amel e' algerina e vive in Italia sin dalla tenera eta'. Porta il velo ed e' sposata con un tunisino. "In generale mi trovo bene in Italia- dice- ma a volte avverto una mancanza di rispetto. Qualcuno si sente in dovere di farti pagare gli errori degli altri e, spesso, mi vergogno di andare in giro perche' mi sento osservata a causa del velo. Ci sono sguardi che addirittura ti negano dal mondo". Amel, pero', vuole essere chiara: "Non mi sento sottomessa a mio marito in alcun modo e anche mia figlia sta scegliendo come vestirsi. L'anno prossimo frequentera' la scuola media- spiega- e ha gia' deciso che mettera' il velo, ma nessuno glielo impone. Io cerco di parlare molto con lei per spiegarle cosa significa, ma la scelta sara' sua. Ci sono pero' famiglie che lo impongono, senza stabilire un dialogo con le proprie figlie. In quei casi le ragazze che portano il velo sono tristi e camminano per strada a testa bassa. Il velo e' qualcosa che va sentito dentro, per portarlo bisogna amarlo e non va imposto".
L'aria che si respira nel quartiere e' simile a quella di altri come Torre Angela o Tor Pignattara, dove sono presenti altri luoghi di culto islamici. Ma Centocelle e' sicuramente tra i piu' rappresentativi. Per le strade si vedono donne musulmane, per lo piu' nei negozi di alimentari che vendono prodotti arabi. All'uscita di uno di questi incontriamo Khalida, che e' un po' reticente a parlare, si guarda intorno preoccupata, ma alla fine accetta di raccontare della sua vita in Italia.
"Mi trovo bene- dice- ma ho una figlia che ha avuto qualche problema a scuola. Qualche mese fa e' diventata donna e da un giorno all'altro ha iniziato ad indossare il velo". Si ferma e respira profondamente. "Non dovrei dirlo- aggiunge tra i denti- ma lei non voleva portarlo. In piu' i suoi compagni di classe, vedendola con il capo coperto, hanno iniziato a prenderla in giro, lei e' tornata a casa piangendo e sono stata addirittura convocata a scuola dalle maestre. Non potete capire voi donne occidentali cosa significa, ma e' cosi' e basta. Cosa ho detto alle maestre? Che era diventata donna e che era giusto cosi'".
Ma chi si ribella e non accetta, a volte rischia di essere abbandonata e messa al bando dalla comunita' in cui vive, quasi non esistesse piu'. Oppure deve combattere per imporre le proprie idee iniziando a scalfire, lentamente, il muro di integralismo.
E' il caso di Ghizlane, marocchina che vive n Italia dal '90, ed e' la proprietaria di Articolo 3, un circolo culturale che si trova nel cuore di Centocelle. Non porta il velo. "I primi tempi che ho aperto- racconta Ghizlane- forse c'era un po' di ostilita'. E' stata incendiata anche la mia macchina, ma credo si sia trattato di un atto vandalico non collegato all'apertura del circolo. In ogni caso, fin da subito ho avuto l'appoggio e il sostegno da parte di tutti. E oggi il mio circolo e' un luogo di ritrovo anche per donne arabe".
Ghizlane parla del suo circolo come di "un luogo pulito, in cui possono venire donne arabe che difficilmente escono di casa, a causa di restrizioni da parte degli uomini". Guardare insieme le notizie che provengono dai paesi d'origine, organizzare incontri culturali, come presentazione di libri, e incontrare connazionali. Questo in sintesi il senso del centro culturale Articolo 3 "che garantisce- aggiunge Ghizlane- sicurezza agli uomini che mandano anche le donne da sole. Bisogna iniziare a cambiare la mentalita' di alcuni uomini arabi, come anche di alcune donne. A volte noto dell'imbarazzo in quelle che vengono al centro non accompagnate, altre sono tranquille, altre ancora non vengono piu'...!".
(DIRE)