8 maggio 2013 ore: 12:34
Società

Milena, dagli spari di chi amava all’amore di chi l’ha salvata

Quattro madri si raccontano. In sedia a ruote perché 7 anni fa il suo ex fidanzato le sparò, Milena Di Gennaro è oggi madre di due gemelli. La sua vita tra pappe e pannolini e la sua battaglia per tornare nell’Arma di carabinieri, da cui è stata congedata
Simona Ghizzoni/Contrasto Mamme disabili. Milena Di Gennaro 5 (foto superabile)

Milena Di Gennaro, 34 anni, e i suoi due gemelli di 14 mesi: Samuel e Gabriel. Milena è in sedia a ruote dal 2006, quando il ex fidanzato le sparò perché non accettava di essere lasciato

ROMA – “Donna, disabile, madre e lavoratrice. Nella mia persona incarno tutte le gioie e le difficoltà di queste quattro figure diverse”. Filomena Di Gennaro, che tutti chiamano Milena, si presenta senza tanti giri di parole, dimenticando per un momento quell’orribile fatto di cronaca che l’ha resa celebre suo malgrado e l’ha portata a vivere su una sedia a ruote. Perché, sebbene il peso del passato condizioni ancora la sua vita, il suo appartamento alla periferia Nord di Roma parla d’altro. I due lettini, i giocattoli sparsi ovunque in salotto, il grande recinto dei giochi tra il divano e il televisore rivelano, inequivocabilmente, la presenza di due bambini. Gabriel e Samuel, quei gemelli tanto desiderati e a lungo attesi che oggi, all’età di 14 mesi, colmano di gioia Milena e suo marito Peter, mettendoli al tempo stesso di fronte a uno dei principali crucci della famiglia contemporanea: la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, a cui si aggiungono i diktat di un budget gravato da nuove esigenze e nuove spese.
Trentaquattro anni e un viso ancora da bambina, Milena condivide con tante sue coetanee il tentativo quasi impossibile di trovare la quadratura del cerchio: essere madre attenta e lavoratrice ineccepibile, districandosi tra la ricerca del nido più adatto, la cura della casa, il bilancio familiare, le necessità personali. Anche la sua storia è raccontata nel prossimo numero di Superabile Magazine, la rivista dell'Inail dedicata alla disabilità.
 
Ma quando si parla di figli la fatica passa spesso in secondo piano. Per lei, madre da poco più di un anno, lo sguardo è tutto rivolto ai suoi bambini. La gravidanza poi è un ricordo ancora vivido. Come la felicità del primo incontro con i nuovi arrivati. “Fin dalla prima ecografia sono risultati due gemelli, si sono viste subito due camere gestazionali – racconta –. E al secondo controllo ecografico era già possibile ascoltare il battito del cuore”. Eppure non tutto è andato liscio come l’olio. A cominciare dalle incertezze dell’inizio. “Ho desiderato a lungo un figlio, ma c’è poca casistica e poca conoscenza per casi come il mio – prosegue –. Per esempio non era chiaro se i farmaci che assumevo potessero essere pericolosi in gravidanza, così nel dubbio ho deciso di sospenderli. E poi, una volta incinta, ho riscontrato una scarsa organizzazione da parte delle strutture pubbliche: in ospedale non c’era una stanza attrezzata, anche se il personale era disponibile”.
 
Dopo 34 settimane e cinque ricoveri in ospedale, Gabriel e Samuel sono finalmente venuti alla luce. Nati troppo presto per tornarsene a casa dopo le classiche 48 ore di osservazione, sono rimasti in neonatologia ancora per qualche settimana. “Era inverno, un giorno venne perfino a nevicare, Roma era bloccata. Io e mio marito affrontammo sette ore di macchina per poter stare con loro mezz’ora”. Le difficoltà delle prime settimane non erano però ancora finite, perché qualche giorno dopo Milena, Peter e i due gemelli erano di nuovo in corsia: “Samuel si era preso la bronchiolite e a ruota si è ammalato anche il fratello, così siamo restati tutti e quattro in ospedale per 15 giorni. È stato l’inferno: non c’erano culle, ma solo lettini troppo grandi per loro, dovevamo somministrargli da soli i farmaci, i bambini erano sotto flebo e sotto ossigeno. Fortunatamente, una volta finito il ricovero, tutto è andato bene: i piccoli hanno cominciato a crescere nella norma e noi siamo usciti dalla fase più preoccupante”. Per entrare in quel periodo della vita che rappresenta la croce e delizia di ogni genitore: il latte, lo svezzamento, le pappe, il sonno, l’inserimento al nido, i primi passi. “La notte non si dorme, si svegliano in continuazione – dice Milena –. Al mattino ci impiego un’ora ad andare al lavoro, per stare nei tempi dobbiamo alzarci alle cinque. Nella mia situazione ci vuole più tempo per fare le cose, non posso contare sulla velocità di una volta. E poi noi facciamo tutto da soli – continua –. Mio marito mi dà una grossa mano, possiamo contare soltanto su una signora che ci aiuta nelle faccende domestiche. Vuoi o non vuoi, la disabilità incide sulla mia realtà di oggi”.
 
Non da sempre, infatti, Milena è stata disabile. Sono passati sette anni da quel tragico 13 gennaio 2006, quando il suo ex fidanzato le sparò. All’epoca la sua vita era a una svolta: era entrata nell’Arma dei carabinieri e stava frequentando il corso per diventare maresciallo a Velletri, in provincia di Roma. L’uomo che era stato con lei per dieci anni provò a ucciderla dopo un ultimo tentativo di chiarimento, perché lei aveva deciso di mettere fine a un rapporto ormai logorato. A salvarla, un attimo prima dell’ultimo colpo di pistola che le sarebbe costato la vita, il tenente che in seguito è diventato suo marito. Lei gli aveva confidato dell’incontro imminente solo per un caso fortuito: non presagiva nulla, infatti, pensava di conoscere bene il suo ex. Lui però l’aveva messa in guardia lo stesso e poi, per eccesso di zelo, l’aveva seguita. Per fortuna è riuscito a intervenire un attimo prima che l’uomo riuscisse a ucciderla. La beffa è stata che, dopo l’episodio, Milena è stata congedata dall’Arma. A questo ricordo per la prima volta – e inevitabilmente – Milena si rabbuia. “Dopo il liceo, mi sono laureata in psicologia – dice seguendo il filo di una storia che ha già percorso mille volte –. Ma il mio desiderio, fin da piccola, era quello di entrare nei carabinieri. Quando ho vinto il concorso ho provato una gioia incredibile, stavo finalmente realizzando i miei sogni”. Dal giorno del suo congedo forzato, Milena lotta per tornare a ricoprire quello che ancora considera il suo posto. Dopo la partecipazione a una puntata di Amore criminale, la fortunata trasmissione televisiva in onda dal 2007 su RaiTre, la Federazione dei tabaccai le ha offerto un lavoro all’interno del proprio Ufficio risorse umane. Le piace, si trova bene, ma non è questo il suo sogno: “Voglio tornare al mio lavoro, perché stare a contatto con la gente e poterla aiutare è stato sempre il mio obiettivo. Come psicologa e come vittima di violenza avrei sicuramente molto da dare”.
 
Da qualche tempo poi c’è un nuovo pensiero ad affliggere le giornate di Milena: ha nuovamente paura perché, dopo sette anni, Marcello Monaco è uscito di prigione. Non si è mai pentito, mai una parola di scuse nei suoi confronti: “Sono la vittima e non mi sento tutelata. Mi preoccupo soprattutto per l’incolumità dei miei figli”. Cercando al tempo stesso di difendere quella quotidianità che ha faticosamente conquistato: “All’inizio è stato tutto ovattato: la riabilitazione, il matrimonio, il desiderio di maternità. Però dopo sette anni la vita comincia ad assestarsi: noi ci siamo creati una famiglia con la ‘normalità’ di una vita vissuta in sedia a ruote, dove anche un gradino può fare la differenza. Ma che fai? O ti butti dentro un letto o decidi di ricominciare a vivere. E io ho scelto la vita”. (ap)

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