Luigino Bruni, docente all’Università di Milano Bicocca, mette in evidenza l’importanza della vulnerabilità e il ruolo delle donne nella cura dei familiari. “Far uscire la cura della fragilità dalla casa per portarla nella comunità”
FIUGGI – “Possiamo normare meglio il diritto del lavoro ma se non pensiamo ad un nuovo patto dentro casa, se non pensiamo a chi si occupa della cura delle persone fragili, il problema rimarrà aperto”. A mettere in evidenza l’importanza della vulnerabilità e il ruolo delle donne nella cura dei familiari è Luigino Bruni, docente all’Università di Milano Bicocca. “Il rapporto famiglia/lavoro – spiega - richiede un cambiamento di mentalità riguardo il tema della fragilità e delle vulnerabilità: la cultura occidentale infatti, nonostante il cristianesimo, non accoglie la vulnerabilità e il limite nella sfera pubblica ma la rimuove appaltandola alla famiglia e alla donna in particolare, che diventa la monopolista della cura delle vulnerabilità”. “Tutto ciò – continua – ha gravi conseguenze perché rende la vita della donna in conflitto strutturale con la vita lavorativa e pubblica, e rende i luoghi del lavoro invivibili, dal momento che quando la fragilità esplode essa diventa devastante e insostenibile”. “Oggi – spiega Bruni – non ci si può mostrare fragili al lavoro, perché farlo vuol dire perdere il lavoro: oggi devi sempre essere disponibili, senza limiti di orari e di fatica. In questo contesto dobbiamo imparare a “conoscere i limiti del lavoro”, che “è molto ma non è tutto nella vita di una persona”.
Quale è allora la via d’uscita? Far uscire la cura della fragilità dalla casa per portarla nella comunità: “Per rendere sostenibile un nuovo patto fra famiglia e mercato dobbiamo sviluppare rapporti orizzontali e innovazioni come famiglie e come comunità: la cura, anche quella specialistica, deve di nuovo passare attraverso le comunità, e non solo nel mercato for profit o dei professionisti for profit”. Si tratta di creare nuove “istituzioni di prossimità”, senza cadere in una cultura dell’elemosina ma spingendo le famiglie ad andare “fuori dalle mura di casa” e a “occuparsi della città, coltivando la gratuità. “Le banche del tempo – afferma provocatoriamente – non possono solo occuparsi di giardinaggio e bridge, ma anche di cura della fragilità”. “La capacità di donarsi – spiega – precede, accompagna e segue le stagioni del lavoro: si vive veramente quando si riconosce un di più della vita rispetto al lavoro e si lavora veramente quando si riconosce un di più del dono rispetto al lavoro”. Traguardi intermedi sono per Bruni quello di “cambiare la mentalità che associa il lavoro al titolo di studio come pretesa”, di “andare oltre la dicotomia fra lavoro intellettuale e lavoro materiale” e quello di comprendere il lavoro “che è veramente tale quando riesce ad andare oltre il dovuto e diventa dono”. (ska)