28 luglio 2020 ore: 17:02
Immigrazione

Migranti respinti e uccisi in Libia. Sdegno delle organizzazioni: “Inammissibile”

Tre persone sono morte in seguito a una sparatoria durante lo sbarco a Khums. Ad aprire il fuoco uomini della Guardia costiera libica. Arci: “Responsabilità anche italiana”. Medu: “La Libia è una fabbrica di tortura e morte”. Emergency: "Inaccettabile". Unhcr: " La Libia non è un porto sicuro". Save the children: "Non voltare lo sguardo dall’altra parte"
Foto da Agenzia Dire Migranti detenuti in Libia

ROMA -“Quanto accaduto in Libia è inammissibile. Si tratta dell’ennesimo orrore, denunciato questa volta dall'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), compiuto dalla Guardia costiera libica che ha aperto il fuoco contro un gruppo di migranti durante le operazioni di sbarco, uccidendone tre e ferendone cinque”. Lo sottolinea in una nota la presidente dell’Arci Francesca Chiavacci, in riferimento alla sparatoria, documentata dal personale Oim a Khums, che ha visto coinvolti alcuni migranti respinti in Libia.

“Nella sparatoria compiuta dalla Guardia costiera libica ci sono però delle responsabilità anche italiane - aggiunge Chiavacci -. Solo pochi giorni fa, infatti, l’Italia ha approvato, per il terzo anno consecutivo, il finanziamento della missione italiana in Libia, che prevede in particolare il sostegno economico alla Guardia costiera libica e l’attività di formazione e addestramento dei suoi componenti. Come Arci abbiamo denunciato più volte le atrocità compiute in Libia ed abbiamo aderito all'appello “I Sommersi e i Salvati”, per chiedere di bloccare i finanziamenti alla cosiddetta Guardia costiera libica, chiudere i centri di detenzione in Libia e creare dei corridoi umanitari per le persone in fuga”.

E lo sdegno per quanto successo in Libia è unanime tra le organizzazioni umanitarie. Medu (Medici per i diritti umani) parla della Libia come “una fabbrica della tortura e della morte”. E riporta una testimonianza di un ragazzo del Gambia di 20 anni che da Al-Khums ci è passato: "Da lì, sono stato portato alla prigione di Al-Khums, lontano da Tripoli. C’erano più di 300 persone in ciascuna stanza, non c’era spazio per stendersi e per dormire. Ci davano poca acqua e poco cibo. Ogni giorno alle 13 ci portavano un pezzo di pane e un bicchiere di acqua. Questo era tutto ciò che abbiamo ricevuto per tutti gli 8 mesi in cui sono stato detenuto lì dentro. Ci picchiavano tutti i giorni con i tubi di gomma delle pompe dell’acqua. Di solito venivano e ci gettavano l’acqua ghiacciata addosso. Poi ci chiamavano, gruppo a gruppo, e ci picchiavano. Molte persone sono rimaste gravemente ferite. Ho visto alcune persone perdere le proprie gambe a causa delle violente percosse che ricevevano. Ci picchiavano molto e ci chiedevano i soldi. Mi hanno chiesto molte volte di dargli 500 dinari (321 euro, ndr) per essere rilasciato, ma io non avevo quei soldi e loro allora continuavano a picchiarmi". Questo racconto è una delle oltre tremila tragiche testimonianze sulla Libia raccolte in questi anni dagli operatori di Medici per i Diritti Umani.

"L’uccisione di persone la cui unica colpa era quella di fuggire da un Paese piegato da anni di scontri e violenze è intollerabile. Avendo appena votato a maggioranza il rifinanziamento della Guardia Costiera Libica, l’Italia ne è complice" sottolinea Emergency in una nota in cui chiede che l’Italia cessi al più presto ogni collaborazione con la Guardia costiera libica e riprenda a soccorrere chi chiede aiuto nel Mar Mediterraneo. "Ogni collaborazione è da ritenere ormai inaccettabile: esistono innumerevoli testimonianze e inchieste sui maltrattamenti e sugli abusi subiti dai migranti in Libia - continua -. È altrettanto inaccettabile che i migranti vengano riportati nei centri di detenzione, in un Paese in guerra, dove vengono violati tutti i basilari diritti umani. Il salvataggio in mare dovrebbe essere competenza europea e dovrebbero essere i singoli governi a farsi carico di un servizio di search and rescue continuo e affidabile".

L’Agenzia Onu per i rifugiati
 deplora la "tragica perdita di tre vite umane e chiede un’indagine urgente a seguito della sparatoria avvenuta ieri sera al punto di sbarco di Al Khums in Libia, dopo che un’imbarcazione era stata intercettata dalla Guardia Costiera libica". La sparatoria è avvenuta dopo lo sbarco di oltre 70 persone e l’International Rescue Committee, partner di Unhcr, ha aiutato a trasportare in ambulanza fino all’ospedale un uomo ferito che è però morto durante il tragitto. Altre due persone sono morte sul luogo dell’incidente e altre due sono rimaste ferite. I tre morti erano cittadini sudanesi. Le altre persone sbarcate sono state trasferite in detenzione. “Questo incidente sottolinea con forza che la Libia non è un porto sicuro per lo sbarco - ha detto l’inviato speciale dell’Unhcr per la situazione del Mediterraneo centrale, Vincent Cochetel - E’ necessario aumentare la capacità di ricerca e soccorso nel Mediterraneo, includendo le navi delle Ong, al fine di aumentare la probabilità che le operazioni di salvataggio conducano allo sbarco in porti sicuri al di fuori della Libia. C’è anche bisogno di maggiore solidarietà tra gli Stati costieri del Mediterraneo”.

"3 #migranti uccisi, e altri 4 feriti dalla guardia costiera libica ieri a est di Tripoli durante le operazioni di sbarco dopo che erano stati intercettati in mare e riportati a terra.  Ecco i frutti dell'accordo con la #Libia. Come si può votare un accordo che uccide esseri umani?", scrive su twitter il Centro Astalli.

“La tragica notizia dell’uccisione di tre migranti, e del ferimento di altri due, intercettati in mare e riportati a terra dalla Guardia costiera libica è l’ennesima dimostrazione delle violenze, degli abusi e delle gravissime violazioni dei diritti umani di cui uomini, donne e bambini continuano a essere vittime in Libia per mano delle autorità locali. La Libia non è un porto sicuro e le persone che vengono riportate lì vengono condannate a ulteriori soprusi e torture inimmaginabili”. E' il commento di Raffaela Milano, Direttrice dei programmi Italia-Europa di Save the Children, l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare i bambini a rischio e garantire loro un futuro. Dall’inizio dell’anno circa 5 mila persone sono state intercettate in mare dalla Guardia costiera libica e riportate indietro. Queste persone rischiano di essere messe in detenzione arbitraria, abusate, torturate o vendute come schiave, sottolinea l’Organizzazione. “Bisogna porre immediatamente fine, senza più voltare lo sguardo dall’altra parte, ai trasferimenti e ai ritorni dei migranti in Libia e non bisogna sostenere e incoraggiare in alcun modo queste operazioni contrarie al diritto internazionale. L’incolumità delle persone, e in particolare dei minori, compresi quelli non accompagnati, non può essere messa in nessun modo in pericolo dal rinvio in un Paese dove per loro è altissimo il rischio di subire torture, violenze o abusi”, ha concluso Raffaela Milano.

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