Morti sospette in carcere, da Avezzano la storia di Niki
La triste sorte del loro figlio non aveva convito i familiari che avevano chiesto da subito di non archiviare il caso come suicidio. Il giovane viveva a San Marino ed era responsabile di una società informatica, era stato arrestato a Cattolica il 19 giugno con l’accusa di aver commesso una truffa con i prefissi 899 dal valore complessivo di 10 milioni. Per quell’inchiesta finirono in manette 18 persone. Niki non era mai stato in carcere e aveva chiesto di essere trasferito in una cella con degli italiani che non fossero violenti, invece era stato recluso con due detenuti immigrati per i quali era stata chiesta una sorveglianza speciale: uno dei due infatti, in una precedente detenzione aveva minacciato di tagliare la gola ad un suo compagno di cella. E secondo il quotidiano on-line primadanoi.it a non convincere i genitori è la dinamica assurda della morte del loro figlio. “L’utilizzo di un solo laccio è di per sé - scrissero qualche mese fa - ma certamente no idoneo a sorreggere il corpo di Niki del peso di 92 kg. Inoltre - aggiunsero - non si capisce come si possa essere consumata l’impiccagione, quando nel bagno nono vi era sufficiente altezza tra i jeans e il piano di calpestio del pavimento tale da poter garantire il sollevamento del corpo. In tal caso - conclusero i genitori - il decesso è più riconducibile ad uno strangolamento con successiva simulazione di impiccagione”.