Naufragio di Crotone, le reazioni della società civile
ROMA – Non si sono fatte attendere le reazioni delle organizzazioni della società civile di fronte al naufragio di Crotone, che ha visto un peschereccio partito da Smirne, in Turchia, infrangersi tra le onde, con un bilancio, ancora provvisorio, di almeno 59 morti, tra cui molte donne e bambini. Di seguito una sintesi parziale.
Sos Villaggi dei Bambini, Non possiamo più permettere tragedie simili, basta vite spezzate
Esprimiamo il nostro cordoglio per le vittime del naufragio nel Mar Mediterraneo avvenuto a poche decine di metri dalla spiaggia di Steccato di Cutro a Crotone”. Sos Villaggi dei Bambini, che dal 2017 è presente a Crotone con un Programma di supporto psicosociale rivolto ai minori stranieri non accompagnati e ai giovani del territorio, si unisce alle parole del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che esorta l’Europa a “governare il fenomeno migratorio per sottrarlo ai trafficanti di esseri umani”.
“Di fronte all’ennesima tragedia umana e morale, che coinvolge tantissimi bambini, non possiamo più girarci dall’altra parte – scrive l’organizzazione in una nota –. Servono politiche incisive e comuni da parte dell’Europa che non può restare ferma a guardare. Esistono i diritti dell’uomo da rispettare, non possiamo più permettere tragedie simili, basta vite spezzate. È necessario lavorare per permettere a chi parte, di poterlo fare in maniera legale e umana e occorre una risposta concreta anche dal punto di vista dell’accoglienza. Importante aprire corridoi umanitari per chi fugge da guerra, carestie, dittature.
“Come Sos Villaggi dei Bambini siamo impegnati nel rispetto della Carta dei diritti delle Nazioni Unite e degli impegni presi dall’Italia verso gli Obiettivi di sviluppo sostenibile – prosegue la nota –. Da oltre 5 anni siamo in Calabria per sostenere il benessere psicologico e sociale dei minorenni stranieri che arrivano nel nostro Paese non accompagnati e favorirne l’integrazione sociale. In particolare, abbiamo fornito supporto a 579 minori stranieri non accompagnati, 114 minorenni stranieri accompagnati e/o con background migratorio, 890 minorenni italiani. Abbiamo, inoltre, formato 269 operatori dell’accoglienza”.
Centro Astalli, dolore e sgomento per le decine di vittime del naufragio al largo della Calabria
“Dolore e sgomento nell’apprendere che su una vecchia barca di legno sono state stipate 250 persone in fuga da Iran, Afghanistan e Pakistan. Si tratta di Paesi senza libertà, democrazia e pace. Le istituzioni nazionali e sovranazionali non rimangano ferme davanti a questa tragedia”. È il messaggio del Centro Astalli, che chiede “un’operazione ampia, strutturata di ricerca e soccorso in mare che metta in salvo vite umane; l’attivazione immediata di canali umanitari dalle principali aree di crisi; l’apertura stabile e proporzionata di vie di ingresso legali come visti per lavoro e nuovi criteri che amplino i ricongiungimenti familiari”. Padre Camillo Ripamonti, presidente Centro Astalli aggiunge: "Lasciar morire in mare è inaccettabile. La politica, di qualunque orientamento, non può non agire per salvare vite umane. Purtroppo le politiche di chiusura ed esternalizzazione delle frontiere europee degli ultimi anni hanno ampiamente dimostrato di essere fallimentari, inutili e di favorire il traffico e la tratta di esseri umani. Le migrazioni non si possono fermare ma si devono gestire. In questo il diritto internazionale e la nostra Costituzione indicano l'unica strada percorribile: accoglienza, protezione e tutela dei diritti umani per ogni essere umano".
Sant’Egidio: dolore per il gravissimo naufragio davanti alle nostre coste, l’Europa esca dal suo torpore
La Comunità di Sant’Egidio ha espresso il proprio cordoglio ai familiari delle vittime e dei tanti migranti dispersi per il naufragio del barcone a pochi metri dalle coste della Calabria. “Di fronte alla morte di intere famiglie con bambini e persone fragili che fuggono da paesi come Iran, Pakistan e Afghanistan, non ci si può fermare al semplice sdegno – si legge in una nota –. Occorre continuare e incentivare il salvataggio di chi è in pericolo nel Mediterraneo e ad accogliere, come ha invitato a fare Papa Francesco all’Angelus. Al tempo stesso è necessario attivare urgentemente programmi di reinsediamento europei dai paesi del Sud del Mediterraneo; incrementare le quote dei decreti flussi insieme a nuove vie di ingresso regolare, unica soluzione per poter gestire un fenomeno che è di vaste proporzioni. Modelli che funzionano perché favoriscono l’integrazione, come i corridoi umanitari, che la nostra Comunità porta avanti insieme a diverse realtà ormai dal 2016 oltre all’ingresso per motivi di lavoro, di cui tanto ha bisogno il nostro paese.
Ma chiediamo soprattutto all’Europa di uscire dal suo torpore e da logiche di chiusura che non favoriscono l’immigrazione regolare – si legge ancora – incrementando la cooperazione e attivando subito un "piano speciale" di aiuti e di sviluppo per i paesi di provenienza dei migranti, sull’altra sponda del Mediterraneo e nell’Africa subsahariana. Se non si affronta questo nodo, che potrebbe fornire, almeno a medio termine, una risposta concreta, con la creazione di posti di lavoro e un futuro vivibile nei paesi di partenza, insieme a nuove politiche sull’immigrazione, saranno purtroppo inevitabili nuove tragedie del mare o nel deserto africano”.
Caritas Italiana: Vicinanza alle vittime, la vita è sacra. Servono soluzioni coraggiose e adeguate a un fenomeno globale
“Decine di persone sono morte nel tentativo di raggiungere le coste italiane. Cadaveri sono stati ritrovati sulla spiaggia, altre persone sono e rimarranno disperse in mare. Di fronte a simili tragedie, la Caritas Italiana richiama tutti alla propria responsabilità per trovare soluzioni adeguate di fronte al fenomeno globale delle migrazioni, che guardino al bene comune e non a interessi di parte”. A seguito della notizia del naufragio del Crotonese, Caritas italiana ha trasmesso la presa di posizione del direttore di Caritas Italiana, don Marco Pagniello. “È purtroppo solo l’ultimo di tanti episodi che ci devono interrogare – dichiara il direttore di Caritas Italiana –. Questo naufragio avviene all’indomani della conversione in legge del decreto che limita gli interventi di salvataggio in mare. Caritas Italiana ribadisce l’urgenza di una risposta strutturale e condivisa con le istituzioni e i diversi Paesi, affinché l’Italia e l’Europa siano all’altezza delle loro tradizioni, delle loro radici e del loro umanesimo. La questione delle migrazioni, della fuga dalla miseria e delle guerre, non può essere gestita come fosse ancora un’emergenza. Penalizzare, anziché incoraggiare, quanti operano sul campo non fa che aumentare uno squilibrio di umanità. La vita è sacra e va salvaguardata, sempre: salvare le vite resta un principio inviolabile”.
“Come già il Consiglio permanente della Cei ebbe a ricordare alla vigilia delle elezioni, è tempo di scelte coraggiose e organiche, non di opportunismi, ma di visioni – prosegue Pagniello. È tempo che i diversi attori si confrontino per trovare una soluzione corale e costruttiva, per il bene di tutti. Da parte sua, la Chiesa continua ad assicurare l’impegno e la disponibilità nell’operosità concreta e nel dialogo. La bussola, per i cristiani e non solo, restano i quattro verbi indicati da papa Francesco in relazione alla questione delle migrazioni: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. L’accoglienza delle persone che arrivano e arriveranno sul nostro territorio è per noi un fatto importante, che ci impegna, al di là della discussione sull’opera delle Ong e del loro ruolo nel mare Mediterraneo. Caritas Italiana, per conto della Chiesa che è in Italia e in collaborazione con altre organizzazioni e il governo, col progetto dei Corridoi umanitari pone un “segno”: si possono, dunque si devono, organizzare vie sicure che evitino i pericoli dei viaggi per mare e che diano prospettive reali alle persone migranti. Un pensiero e una preghiera per chi, nelle ore passate ha perso la vita nel mare e a quanti, sopravvissuti, vivranno sempre segnati da un dolore che potrà essere lenito solo dalla nostra vicinanza umana”.
Acli, si metta fine alle stragi dell’indifferenza
“Mentre si continua a discutere di chi deve farsi carico del salvataggio in mare della vita di migliaia di bambini, donne e uomini che scappano dalle peggiori tragedie umanitarie del secolo, sulle spiagge italiane, a pochi chilometri da Crotone, un barcone con 250 persone a bordo non è riuscito a raggiungere la costa”. Così le Acli in una nota sulla tragedia di Crotone. “Mentre i governi europei discutono delle responsabilità del soccorso e dell’accoglienza di chi fugge da guerre, persecuzioni e calamità naturali, intanto che decidono come esternalizzare le frontiere e costruire nuovi muri, la contabilità di morte continua a scandire le sue vittime”. Per favorire il soccorso in mare, le Acli chiedono al governo italiano di ritirare il "decreto ong" e, al tempo stesso, chiedono all'Unione Europea un vertice permanente che, nel rispetto del diritto internazionale, doti l'Unione di una strategia di accoglienza su tutte le rotte di accesso all'Europa.
Arci, 60 morti, tanti dispersi, ancora vittime del cinismo dei governi
“Ancora morti. Ancora vittime del cinismo dei governi che, senza alcuna vergogna, continuano ad impegnarsi per impedire alle persone di mettersi in salvo, anziché provare a salvarle e a sottrarle ai rischi connessi alle fughe via mare, all’attraversamento delle frontiere con mezzi fatiscenti e totalmente inadatti”. Il pensiero e il cordoglio dell’Arci nazionale e di Arci Calabria va innanzitutto alle vittime e alle loro famiglie. “Esprimiamo tutto lo sdegno e la rabbia per chi in questi anni si è solo occupato di criminalizzare l’immigrazione e coloro che operano per salvare le persone che attraversano il mare per fuggire da guerre e persecuzioni – scrivono –. Se queste persone avessero potuto scegliere vie legali e sicure garantite dai governi per attraversare le frontiere, non si sarebbero rivolte a chi organizza questi viaggi pericolosi. Se avessero potuto avere un visto e prendere un aereo non sarebbero morte. Se ci fosse stato un programma di ricerca e salvataggio europeo, forse si sarebbero potute salvare”.
“Gli scafisti, categoria prodotta direttamente per interessi elettorali da governi e partiti xenofobi, non potrebbero fare affari se i governi, a partire dal nostro, non mettessero direttamente la vita di migliaia di persone nelle loro mani, con atti legislativi e con scelte politiche come l’ultimo decreto anti Ong – viene precisato –. Qualcuno prima o poi chiederà conto di quanti lucrano elettoralmente sull'immigrazione, criminalizzandola e causando le tragedie cui siamo costretti ad assistere”.
Cgil, ennesima strage conseguenza di politiche sbagliata
“Ancora una volta piangiamo decine di vittime: donne, uomini e bambini partiti su un barcone alla ricerca di una vita migliore o, semplicemente, alla ricerca di una possibilità di sopravvivenza. Ma piangere non basta. La prima causa di queste stragi va rintracciata nelle politiche sbagliate”. Lo affermano, in una nota, Cgil nazionale e Cgil Calabria. “Le politiche europee e del nostro Paese, che insistono sulla esternalizzazione delle frontiere, sulla perseguibilità di chi soccorre e non di chi sfrutta, sulla chiusura dei porti, sono la prima causa di queste tragedie. Non si tratta di speculare, si tratta di dire le cose come stanno e assumersi le proprie responsabilità”
Per la Cgil nazionale e la Cgil Calabria “occorre favorire politiche di coesione e di sviluppo delle aree più povere del mondo, fermare le guerre, garantire la libera circolazione delle persone, favorire una diversa distribuzione delle ricchezze. Occorre – aggiungono – istituire corridoi umanitari, superare gli accordi di esternalizzazione delle frontiere, rivedere il Trattato di Dublino e il Memorandum con la Libia, impegnarsi per politiche di accoglienza per rifugiati e profughi. Le stragi continueranno finché non ci sarà un cambio radicale delle politiche che considerino l’immigrazione un fenomeno strutturale e non un problema di sicurezza”, concludono Cgil nazionale e Cgil Calabria.
Save the Children, quando la morte di centinaia di persone conterà qualcosa?
"Non possiamo assistere silenti alla morte di decine di persone a causa di un naufragio a poche miglia dalle coste italiane nel tentativo disperato di raggiungere l’Europa per cercare un futuro possibile, spezzato dal drammatico naufragio, che conferma come il Mediterraneo centrale sia tra le rotte migratorie che causano il numero più elevato di vittime, tra cui donne e minori – ha dichiarato Raffaela Milano, direttrice programmi Italia Europa di Save the Children – Non possiamo non chiederci, con indignazione, quando queste morti smetteranno di essere numeri e ci sarà un reale impegno per evitarle. È più che mai urgente un’assunzione di responsabilità condivisa tra gli Stati membri e le istituzioni europee che disponga un meccanismo coordinato e strutturato di ricerca e salvataggio delle persone in difficoltà in mare, agendo nel rispetto dei principi del diritto internazionale, e che si ponga l’obiettivo di garantire vie sicure e legali per l’ingresso in Europa. Da anni si dice che tragedie come questa non debbano più succedere, ma quanto accaduto oggi dimostra ancora una volta che le attuali politiche non sono in grado di affrontare l’arrivo dei migranti in modo strutturato, garantendo salvataggio, assistenza e protezione adeguate. Quanti altre vite dovranno essere spezzate prima di una reale assunzione di responsabilità?"
Libera e Gruppo Abele, necessario ripartire dalla Dichiarazione dei diritti Umani
“La tragedia avvenuta al largo delle coste calabresi ci dice che quella barca che dovrebbe farci sentire con-sorti, accomunati da una simile sorte, resta per ora una speranza: il mondo continua a essere diviso in transatlantici e zattere, benestanti e disperati, stanziali e migranti per forza”, esprime il proprio sdegno in una nota don Luigi Ciotti, presidente Libera e Gruppo Abele –. Sì perché bisognerebbe smetterla di chiamarle migrazioni: sono deportazioni indotte! Nessuno lascia di sua spontanea volontà gli affetti, la casa, affrontando viaggi rischiosi in mano a organizzazioni criminali e in balia degli eventi atmosferici. Lo fa solo perché costretto da un sistema economico intrinsecamente violento, sistema che colonizza, sfrutta e impoverisce vaste regioni del mondo. Lo fa perché l’Occidente globalizzato, in nome dell’idolo profitto, gli fa terra bruciata attorno offrendogli in alternativa sfruttamento se non schiavitù. Ed ecco la silenziosa carneficina che si sta consumando da almeno 30 anni sotto gli occhi di un ricco Occidente che finge di non vedere e che, quando non può farlo perché le dimensioni della tragedia lo impedisce, si palleggia responsabilità per poi tornare, passato il clamore, alla sola attività che sembra davvero interessarlo: il conflitto per la gestione del potere. Gestione dalla quale sono derivate distinzioni ipocrite, disoneste, come quella tra “profugo” e “migrante economico” – come se la ferita economica e quella bellica avessero una diversa radice – o espressioni disumane come «carico residuale», dove l’essere umano è equiparato una volta per tutte a merce, a valore di scambio”.
“Per fermare le deportazioni indotte chiamate migrazioni non basta allora stabilire accordi economici con Paesi di provenienza, il più delle volte complici o addirittura agenti della logica di sfruttamento occidentale – prosegue don Ciotti –. Occorre ripartire dalla Dichiarazione Universale dei Diritti umani, occorre ripartire dal valore inviolabile della persona, dal suo diritto a una vita dignitosa, libera e anche liberamente nomade: nomadismo del sentirsi ovunque a casa su una Terra dove abbiamo davvero imparato tutti a sentirci e ad agire come passeggeri di un’unica barca che procede verso il bene comune, a cominciare da quello di chi, ancora naufrago, chiede di essere riconosciuto e accolto come persona”.