Persone con disabilità intellettive all'università: ha senso o no?
ROMA - Che senso e che scopo ha permettere a un ragazzo con disabilità intellettiva di frequentare l 'università? Se lo chiede e lo chiede alle associazioni Salvatore Nocera, avvocato esperto di inclusione scolastica e membro dell'Osservatorio di Aipd, dopo aver letto la storia di Rebecca, che la madre Ilaria Ceccarelli ha raccontato a Redattore sociale il 10 ottobre scorso. In sintesi, dopo una lunga battaglia combattuta dalla mamma, la ragazza ha ottenuto il diploma di Liceo classico ed è ora iscritta alla facoltà di lettere della Sapienza.
"A parte le questioni strettamente legali relative ai ricorsi al TAR e la conseguente attribuzione formale di un Diploma - riflette Nocera - mi chiedo e chiedo alle associazioni Nazionali di persone con disabilità: è utile per i nostri ragazzi con disabilità intellettiva la frequenza dell'Università per una loro crescita umana, intellettuale e sociale?Normalmente anche alunni senza disabilità trovano le nostre università orientate su studi molto astratti e quindi intellettivamente difficili - continua - Nell'articolo citato si legge che invece di mandare i nostri ragazzi ai centri diurni o di tenerli a casa, è meglio mandarli all'Università. Ma sarebbe logico mandare una persona sorda a frequentare un corso di alta cultura coreutica e musicale? - domanda - Sarebbe logico mandare una persona cieca a specializzarsi in un corso di tiro al piattello? So bene che con queste domande sollevo provocatoriamente un vespaio - ammette infine Nocera - ma è la notizia letta nell'articolo che mi suscita queste domande e che ribalto all'opinione pubblica, perchè si possa aprire un dibattito serio, pacato, documentato e soprattutto finalizzato al vero interesse di crescita dei nostri ragazzi con disabilità intellettiva".